L’impero di Erdogan costruito sull’acqua
Come l’impero romano ha lasciato ai posteri, coi suoi acquedotti e anfiteatri, strade e archi monumentali, opere che durano tuttora, così Erdogan punta su grandi infrastrutture – che egli stesso chiama “le sue follie” – per divenire il nuovo Padre della Patria. A eccezione del nuovo aeroporto di Istanbul (apertura prevista il 29 ottobre 2018), che sarà tra i tre più grandi al mondo, le opere faraoniche volute dall’ex sindaco di Istanbul riguardano l’acqua, risorsa che – come visto nel nostro corso Blue Gold – per la Turchia ha un valore non solo energetico, agricolo, sanitario, ma soprattutto strategico. Spiccano, negli ultimi mesi, la diga di Ilisu e il Canale Istanbul.
La prima, inaugurata a luglio scorso dopo sette anni di lavori, è alta oltre 140 m e, se completamente riempita, si estende per 30mila ettari. La diga, che condanna l’antica Hasankyef a scomparire, agisce su due fronti:
- interno, poiché inserendosi nel GAP (sistema di dighe su Tigri ed Eufrate che contribuisce a soddisfare il fabbisogno energetico turco) in Kurdistan, la sua costruzione ha spinto molti abitanti del luogo (curdi) a spostarsi verso le città facendo sì, da un lato, che lo Stato possa controllare meglio il sorgere del dissenso e rendendo, dall’altro, il Kurdistan sempre meno curdo e sempre più interconnesso alla Turchia non curda;
- regionale, giacché dopo esser nati in Turchia, Tigri ed Eufrate attraversano Siria e Iraq che su queste acque basano la propria sussistenza tanto quanto sul petrolio. L’ennesima diga che ingabbia le acque del Tigri ha dunque suscitato le proteste di Baghdad timorosa che, attraverso il controllo idrico, Ankara possa tenere in scacco il vicino mesopotamico, come avvenuto negli anni ’90 con la Siria.
L’altra grande opera Erdogan intende invece inaugurarla il 29 ottobre 2023 per il centenario dalla nascita della Repubblica di Turchia: dopo il tunnel sotto il Bosforo (2013) e il terzo ponte sul Bosforo (2016), sarà un canale (45 km) – annunciato nel 2011 e ora rilanciato – a interessare Istanbul. Finanziato per il 70% dallo Stato, garantirà il transito di 160 navi al giorno sgravando il Bosforo dal suo traffico, con il fine ultimo di consacrare Istanbul a hub delle rotte e degli equilibri tra Oriente e Occidente.
In quanto canale interno, vi è l’ipotesi di imporre dei dazi per il transito e questo, a rigor di logica, dovrebbe portare Ankara a chiedere una revisione della Convenzione di Montreux (1936) che internazionalizza Bosforo e Dardanelli garantendo la libertà (economica) di passaggio, sebbene ingresso e uscita dal Mar Nero al Mediterraneo e viceversa siano sotto stretto controllo turco. Altrimenti perché le navi, siano esse commerciali o militari, dovrebbero pagare pedaggio ad Ankara se a poca distanza hanno libertà di passaggio attraverso il Bosforo?
Irene Piccolo, AMIStaDeS