Sar libica: pagheranno Stati di bandiera

9 Ago 2018 - Le Acque Sottovalutate di Redattore

A fine giugno la Libia ha comunicato all’Imo (International Maritime Organization) l’istituzione della sua zona Sar (Search and Rescue) ai sensi della Convenzione di Amburgo (1979), di cui il Paese era già parte, ma alla cui implementazione non aveva mai proceduto. Identica procedura era stata avviata lo scorso anno dalle autorità di Tripoli, ma con scarso successo poiché mancavano mezzi e risorse umane. Attualmente le informazioni fornite dai libici sono state caricate sul GISIS: Global SAR Plan, dove sono indicati i punti di contatto cui possono rivolgersi le imbarcazioni in difficoltà all’interno della SAR. La situazione è singolare: frutto dell’impegno dell’Unione europea nel garantire presso l’Imo il buon comportamento del governo libico, non avendo quest’ultimo il controllo totale del suo territorio e quindi delle sue acque.

La Libia senza l’assistenza da parte di Italia e Ue non sarebbe in grado di far fronte all’impegno assunto; poco più di un anno fa, dopo il Memorandum Serraj-Gentiloni, Tripoli aveva presentato a Roma una sorta di lista della spesa di quanto necessitava per adempiere ai suoi obblighi (es. 10 navi per ricerca e soccorso dei migranti, 4 elicotteri, 10 motovedette, 24 gommoni, 10 ambulanze, mute da sub ecc. per un valore di circa 800 mln €). La formazione di una guardia costiera libica, con il fine ultimo di istituire una Sar autonomamente gestita da questa, è poi tra gli obiettivi affidati nel giugno 2016 alla Missione Eunavfor Med (o Operazione Sophia), attiva già dal 22 giugno 2015 in seno al Servizio esterno europeo. L’attività di training ha avuto avvio con la firma di un Memorandum tra l’Ammiraglio Credendino per l’Ue e il Commodoro Toumia per la Libia, ed è anche per consentirne la prosecuzione che è stato previsto l’ennesimo prolungamento temporale della missione (al 31 dicembre 2018 salvo ulteriore proroga).

L’Ue invece si preoccupa ben poco delle violazioni che potenzialmente si consumano ogniqualvolta migranti recuperati dalle acque vengono riportati in Libia: da un lato, la non adesione di quest’ultima alla Convenzione di Ginevra implica il mancato riconoscimento del concetto di rifugiato in sé, il che non permette neppure astrattamente di considerare aggirato il divieto di respingimento indiretto prescritto da Ginevra agli Stati aderenti (tra cui vi sono tutti gli Stati europei); dall’altro, la non adesione dell’Ue alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo non comporta una sua responsabilità in quanto organizzazione per violazione del divieto di respingimento collettivo, da questa prescritto. Ne consegue che gli unici a rispondere davanti alla Corte di Strasburgo saranno gli Stati di bandiera delle navi che riporteranno i migranti sulle coste libiche; tra questi, per le leggi della statistica, l’Italia sarà in cima alla lista.

Irene Piccolo, AMIStaDeS