Ocse: 1990/2020, il trend negativo degli stipendi italiani

12 Dic 2021 - Finestra sull'Europa di Studenti FiSE

Attraverso un’attenta analisi fatta dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico sui livelli dei salari, resa nota nel 2020, è emerso che l’Italia sia l’unico Paese europeo in cui gli stipendi medi sono diminuiti  rispetto al 1990, anno in cui c’era ancora la lira. Il calo è stato del 2,9%.

La scarsa produttività è sicuramente una delle radici del problema. Ma non è l’unica. La concorrenza internazionale è un problema molto importante per le imprese italiane, che sono ancora mediamente molto piccole e meno sviluppate rispetto a quelle estere, il che le rende ancora meno competitive di quanto già non siano. L’ inflazione ha inoltre contribuito a questo trend negativo degli stipendi, così come l’uscita dal mercato del lavoro di moltissimi lavoratori esperti e il livello della disoccupazione, che in Italia, secondo l’Istat, è attualmente pari al 9,2%.

Per approfondire ulteriormente l’argomento, ci siamo rivolti alla professoressa di Economia politica dell’Università di Roma La Sapienza Lucrezia Fanti, che ci ha così sintetizzato le cause del dato: “Globalizzazione e frammentazione delle catene del valore su scala globale; terziarizzazione, ossia il cambiamento strutturale che ha portato alla progressiva riduzione della quota di produzione e di occupazione relativa al settore manifatturiero e industriale; crescente flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro; progressivo indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori e sbilanciamento delle relazioni industriali a sfavore di sindacati e organizzazioni affini.”

Ancora sull’andamento del mercato del lavoro italiano ed estero, Fanti spiega che, all’influenza negativa delle conseguenze economiche e sociali delle crisi del 2007/2008 e del 2010/2011, si aggiunge quella della pandemia, che ha aggravato un quadro già problematico. Inoltre, gli elementi istituzionali e di riforma del mercato del lavoro hanno portato una progressiva precarizzazione e flessibilizzazione dello stesso, con conseguenti ripercussioni sulle retribuzioni salariali.

Ma questo trend negativo sarà costante e quindi continuerà?, oppure nel futuro, in Italia, gli stipendi si alzeranno? Secondo la prof.ssa Fanti, un elemento fondamentale è rappresentato dall’introduzione di un salario minimo legale che, rappresentando di fatto un tetto minimo retributivo, andrebbe a impedire fenomeni quali la diffusione dei cosiddetti working poors e garantirebbe livelli di retribuzione commisurati a standard di vita dignitosi.

E’ una prospettiva certamente auspicabile e, secondo la prof.ssa Fanti, anche realizzabile. Si spera, dunque, che l’Italia riesca in futuro a raggiungere un salario medio pari o maggiore a quelli degli altri Paesi europei Ocse, che, nell’analogo periodo 1990/2020, hanno registrato quasi tutti un tasso di crescita superiore al 15% – ad esempio, in Germania il 33,6%, in Francia il 30% -. La Spagna, seppur al di sotto degli altri, ha avuto una crescita del 6%.

Roberta Mazza