Golfo di Aden, migrazioni dimenticate
La meta è solitamente l’Arabia Saudita, con i suoi miraggi di ricchezza. Ma per raggiungerla, i migranti che partono da Gibuti, e che provengono generalmente da Eritrea e Somalia, devono attraversare il Golfo di Aden e poi, soprattutto, lo Yemen, devastato dal conflitto. Ma non solo. Il paradosso di quest’area di mare è che, in realtà, il percorso funziona in un doppio senso: da un lato, i migranti provenienti dall’Africa cercano la via verso le petro-monarchie del Golfo nella speranza di un futuro lavorativo ed economico dignitoso; dall’altra, i cittadini yemeniti scappano da uno Stato sull’orlo del collasso, verso Paesi che, pur in condizione di estrema povertà, non sono sottoposti a bombardamenti pressoché quotidiani. Per loro, il mare è praticamente l’unica soluzione, non potendo certo recarsi in Arabia Saudita, Stato con cui lo Yemen è in conflitto.
Come accade anche a chi affronta la rotta mediterranea (oggetto, tra le altre, del corso Al di là del muro promosso da AMIStaDeS), anche in questo caso i migranti si imbarcano su barconi fatiscenti che, spesso solo poche miglia dopo la partenza, finiscono per rovesciarsi e affondare. Ma questo non li ferma: la rotta africana che attraversa il Golfo di Aden, nel 2018, è cresciuta del 50% e ha addirittura superato nei numeri la rotta del Mediterraneo.
Questo soprattutto perché il tragitto da affrontare in mare è molto breve. Nel punto di maggiore affollamento, lo Stretto di Bab-el-Mandeb, sono solo poche decine di chilometri a separare lo Yemen da Gibuti: una lingua di mare che mette in comunicazione il Mar Rosso con il Golfo di Aden e che consente di svolgere un viaggio molto breve, in una direzione o nell’altra (circa 20 km). Peraltro, non tutti riescono ad arrivare ad imbarcarsi sullo stretto, e sono talvolta costretti a partire anche direttamente dai porti somali o eritrei, aumentando la lunghezza del viaggio e, di conseguenza, anche la sua pericolosità.
Ma non è tutto: il viaggio dei migranti inizia ben prima di raggiungere i porti d’imbarco. Decine di persone perdono la vita a causa degli stenti che sperimentano nel tragitto dai loro villaggi alla costa. In queste aree, il clima e il territorio sono spesso impietosi e le risorse a disposizione molto scarse: raggiungere i porti, insomma, rappresenta quasi una prima vittoria. Una volta partiti, la speranza è quella di giungere a destinazione, ma la realtà è spesso diversa. Decine di persone sono morte nel 2018, i dati ufficiali che parlano di circa 160 vittime, ma c’è la consapevolezza che le morti reali sono molte di più. La generale assenza di un effettivo monitoraggio su questi spostamenti rende il numero effettivo delle vittime difficile da accertare.
Claudia Candelmo, AMIStaDeS