La diga di Rogun, sfida del Tagikistan

15 Ott 2018 - Le Acque Sottovalutate di Redattore

Tra pochi mesi, secondo alcune stime già a fine 2018, inizieranno a funzionare le prime turbine della gigantesca diga Rogun, sul fiume Vakhsh, in Tagikistan. Già dal luglio 2016, l’italiana Salini Impregilo, impegnata da molti anni nella costruzione di alcune delle dighe più importanti al mondo (tra cui quelle etiopi e cinesi), ha siglato l’accordo con la società che coordina la realizzazione dell’impianto e ha avviato così la sua partecipazione al progetto di quella che, una volta completata, sarà la diga più alta al mondo. Ancora una volta, un intervento in una delle zone più importanti del pianeta, la catena montuosa Pamir, dove il fiume sarà deviato e fatto confluire nella nuova diga dei record.

È un progetto monumentale, che consentirà il raddoppiamento della produzione energetica del Tagikistan, attraverso un ulteriore ricorso al potere idroelettrico delle dighe. Infatti, il Paese già basa ampiamente la sua produzione energetica sulle risorse idroelettriche. Rogun, tuttavia, non è un progetto recente: da oltre quarant’anni il Tagikistan aveva avviato i lavori per la costruzione della gigantesca diga, ma il progetto è stato più volte interrotto per motivi essenzialmente economici. Esso, infatti, deve fare i conti con un’economia molto fragile, con infrastrutture precarie e tassi di crescita minimi.

Il progetto di Rogun è tanto più importante se osserviamo il Tagikistan nel suo naturale contesto geografico e geopolitico: un’area in cui le contese relative all’energia sono da sempre al centro dei rapporti di vicinato, anche per via della ricchezza di idrocarburi della regione. Ma non è tutto. Il progetto, infatti, assume particolare interesse per il vicino Uzbekistan che sfrutta l’acqua del fiume Amu Darya, il più lungo dell’Asia centrale (circa 2800 chilometri), e di cui il Vakhsh è un affluente prezioso, specialmente per le imponenti colture di cotone, che peraltro sono state recentemente al centro di numerose accuse di lavoro forzato e minorile.

È stato dunque immediato l’interesse uzbeko quando il progetto della diga Rogun ha dato segnali di concreta realizzazione: Tashkent, infatti, deve assicurarsi che la deviazione del fiume non abbia effetti significativi sull’apporto di acqua che raggiunge il suo territorio per mantenere competitiva la sua produzione di cotone.

In relazione a ciò, mentre il precedente presidente, Islam Karimov, aveva adottato la tecnica di una critica aspra nei confronti del progetto, l’attuale Mirziyoyev, che ha sostituito Karimov dopo oltre 25 anni di governo, sembra optare per la cooperazione e il negoziato, provando addirittura a entrare nel consorzio che gestisce il progetto. Inoltre, in modo neanche troppo velato, l’Uzbekistan deve assicurarsi che la nuova diga non dia un potere eccessivo a Dushanbe, rischiando di rendere la fragile economia tagika un competitor nei rapporti regionali e internazionali.

Claudia Candelmo, AMIStaDeS