In Cile le presidenziali più polarizzate dalla fine della dittatura
Da qualche mese il Cile si racconta al mondo attraverso un susseguirsi di colpi di scena nel panorama politico del Paese che ne hanno fatto l’incubo di analisti e sondaggisti. Solo qualche settimana fa lo scandalo Pandora Papers sembrava aver irrimediabilmente segnato la permanenza del presidente Sebastián Piñera al Palazzo de La Moneda. Tuttavia, dopo l’approvazione della mozione di impeachment da parte della Camera, il Senato (in cui Piñera detiene ancora la maggioranza) è riuscito a respingerla mantenendo la scadenza legale della presidenza all’11 marzo 2022.
Sicuro del risultato del voto in Senato, l’attenzione dell’intero Paese era in effetti già rivolta altrove. Il 21 novembre si è tenuto il primo turno delle elezioni presidenziali (al quale Piñera non ha partecipato) che hanno prodotto un risultato storico: la vittoria dei due candidati agli estremi opposti dello schieramento.
Rispettivamente con il 28% e il 26% delle preferenze, il candidato del Partito Repubblicano José Antonio Kast e il candidato di Apruebo Dignidad Gabriel Boric si sono guadagnati il diritto di competere alla seconda tornata elettorale che si terrà il 19 dicembre. Un’elezione che si identifica già come la più polarizzata della storia del Cile in cui si sfideranno una delle figure più a destra dopo Pinochet, l’ultracattolico Kast, e una di quelle più a sinistra dopo Allende, l’ex leader studentesco Boric. A fronte di un astensionismo di oltre il 53% (seppur nella media del Paese) e di un ammutinamento degli elettori di centro, il risultato lancia un segnale forte sullo stato delle cose nella scena politica cilena.
Kast e la “nuova destra”
Sebbene abbia più volte respinto tale definizione, José Antonio Kast rappresenta di fatto l’estrema destra cilena, ultracattolica e di chiara connotazione populista (sono conosciute le simpatie di Kast nei confronti, ad esempio, di Bolsonaro). Kast, al suo secondo tentativo di acciuffare la presidenza (la prima volta nel 2017 aveva raggiunto quasi l’8% da indipendente), si presenta oggi alla guida del Partito Repubblicano, in testa alla coalizione del Frente Social Cristiano (Fsc) fuori dall’attuale governo di centrodestra guidato da Piñera.
Kast si è da subito guadagnato la fiducia degli elettori cileni – che lo hanno premiato come candidato più votato al primo turno – spingendo su tematiche quali la sicurezza, il rilancio economico e la gestione dell’immigrazione presentati come i pilastri della “nuova destra”. Tuttavia, alcuni punti del vastissimo programma depositato (più di 800 punti) hanno innescato più di qualche polemica: oltre alla storica battaglia anti-abortista, hanno fatto molto discutere la proposta di eliminazione del Ministero per le donne e dell’istituto nazionale dei diritti umani; la creazione di un “Coordinamento internazionale della sinistra antiradicale”, ovvero una collaborazione con altri governi latinoamericani per identificare, arrestare e giudicare i non meglio definiti “agitatori radicalizzati”; la riforma della “Legge indigena”; la rimodulazione della gestione dei flussi migratori sul modello Usa, oltre ad alcune proposte di riforma più o meno in contrasto con lo Stato di diritto.
Più di tutte però ha destato preoccupazione la proposta di recuperare alcune disposizioni della costituzione di Pinochet riguardo lo stato di emergenza, che attribuivano al presidente il potere di disporre arresti e incarcerazioni arbitrarie.
Boric alla guida dei progressisti cileni
La carriera politica di Gabriel Boric ha inizio ai tempi dell’università, quando nel 2009 si distingue tra i partecipanti all’occupazione della facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Cile come membro del collettivo Izquierda Autónoma. Da quel momento raccoglie diverse cariche all’interno del Senato accademico e poi a livello locale fino al suo ingresso nel Congresso Nazionale nel 2014 come indipendente per poi essere rieletto nel 2017 sotto il simbolo di Convergencia Social (Cs). Di fatto però la corsa per le presidenziali di Boric ha avuto inizio solo lo scorso febbraio, al compimento del suo 35° anno (età soglia per le presidenziali). Pochi mesi di campagna elettorale sono risultati comunque sufficienti all’ex leader studentesco per guadagnarsi la fiducia dei partiti di sinistra del Frente Amplio che lo hanno designato come candidato.
I punti centrali del programma di Boric – presentato appena 20 giorni prima della prima tornata elettorale – riguardano un’ambiziosa riforma fiscale, che comprende anche l’introduzione di una nuova tassa patrimoniale; la riforma sentitissima del sistema pensionistico; l’innalzamento del salario minimo; la riforma del sistema sanitario e la legalizzazione dell’aborto insieme al contrasto all’obiezione di coscienza negli ospedali; la rifondazione del controllo civile sulla polizia. Ampio spazio, infine, dedicato a diritti umani e cambiamento climatico.
Tra continuità e stabilità
Poco meno di due settimane intense di campagna attendono il Cile, mentre i due candidati cercano di attestarsi l’appoggio delle formazioni escluse dalla corsa alla prima tornata, risulta già chiara la volontà di entrambi di prendere le distanze dall’attuale presidenza in caduta libera nei sondaggi di gradimento. In un Paese che chiede alla politica un segnale di cambiamento, Boric si candida a guidare una svolta progressista mentre Kast promette una soluzione populista al fallimento dei partiti tradizionali. «Cambiamento sì, ma non caos» è ciò che propone Kast ai cittadini cileni mettendo in guardia dal pericolo di instabilità che rappresenterebbe la coalizione guidata da Boric (in cui primeggia il Partito comunista), che dal canto suo accusa il leader repubblicano di voler riportare l’ombra dei “tempi bui” sul Paese, tacciandolo di essere in totale continuità con Piñera ma nella sua versione estremista.
Sebbene Boric risulti leggermente avanti nei sondaggi, le presidenziali di quest’anno saranno certamente ricordate tra le più imprevedibili del Cile post-dittatura. Nel Paese che vanta un sistema democratico tra i più sani dell’America Latina con una regolare alternanza degli schieramenti moderati, la maturata sfiducia nel sistema politico ed economico, acuitasi a partire dalle proteste popolari del 2019, ha portato alla ribalta nuove forze politiche potenzialmente destabilizzanti. In uno scenario quasi impensabile fino a pochi anni fa, il voto presidenziale rappresenta una nuova sorpresa dopo il trionfo degli indipendenti per l’Assemblea costituente. L’appuntamento è fissato per il 19 dicembre per l’inizio di un nuovo capitolo della storia politica cilena.
Foto di copertina EPA/Alberto Valdes