Missili ipersonici: il test della Cina che ha sorpreso gli analisti
Continua la marcia di Pechino verso lo sviluppo di capacità ipersoniche. Secondo quanto riportato dal Financial Times lo scorso 16 ottobre, le forze armate cinesi avrebbe testato un missile a planata ipersonica in grado di orbitare intorno alla Terra prima di colpire il bersaglio. L’esperimento, tenutosi a fine luglio e senza precedenti in questo ambito, secondo la fonte giornalistica sembra aver colto di sorpresa non solo gli analisti ma anche lo staff del Pentagono. In seguito, il ministro degli Esteri cinese Zhao Lijian ha smentito la tesi diffusa dal quotidiano britannico.
Il missile sarebbe stato lanciato nell’orbita bassa terrestre con l’ausilio del vettore Lunga Marcia 2C e avrebbe poi percorso l’intera circonferenza terrestre prima di rientrare nell’atmosfera. Lasciata l’orbita, il missile si sarebbe diretto a velocità ipersonica – cinque volte superiore a quella del suono – verso il punto di rientro, mancandolo però di circa 40 chilometri.
Il test, bollato ufficialmente dal governo cinese come un mero esperimento di routine di uno spazioplano riutilizzabile, potrebbe aver impresso un deciso passo in avanti alle aspirazioni ipersoniche di Pechino. Aspirazioni basate su un robusto sistema di ricerca e sviluppo, così come sottolineato in recente rapporto del Congressional Research Service statunitense. Lo studio ha infatti rimarcato le ingenti risorse profuse dalla Repubblica Popolare Cinese nello sviluppo di una tecnologia considerata da diversi stati – e dalla Nato – come foriera di potenziali effetti dirompenti in ambito militare.
Sebbene il reale impatto dei sistemi ipersonici sia ancora dibattuto dagli esperti, è importante sottolineare alcune peculiarità di questi nuovi missili.
Le differenze tra i vettori
In questo ambito si fa spesso riferimento a due tipi di vettori: i missili da crociera (o Hypersonic cruise missile) e i missili a planata ipersonica (o Hypersonic glide vehicle – Hgv). Entrambi necessitano di un altro vettore per entrare in funzione: la prima tipologia raggiunge l’obiettivo grazie alla propulsione di particolari motori denominati scram jet, la seconda invece sfruttando unicamente l’energia potenziale fornita dal lanciatore. Il particolare profilo aerodinamico consente al missile non solo di planare verso l’obiettivo, ma anche di cambiare direzione durante il volo. La manovrabilità del mezzo, unita alla quota di lancio inferiore a quella dei missili balistici, pone non pochi interrogativi sull’efficacia dei moderni sistemi di difesa antimissile.
Ambigua sull’eventuale impiego nucleare dei vettori a planata ipersonica, la Cina sta portando avanti lo sviluppo di entrambe le tipologie. A tutt’oggi risulta ancora difficile stabilire il grado di avanzamento del programma: secondo alcuni analisti, Pechino avrebbe già schierato un Hgv nel 2020 (nome in codice DF-ZF) e sarebbe in grado di produrre un missile da crociera ipersonico entro il 2025. Tali ipotesi non sono state confermate o smentite da fonti ufficiali americane.
La preoccupazione di Biden e i progressi Usa
Similmente a quanto avviene per lo stato del programma cinese, Washington non ha confermato o smentito la notizia riportata dal quotidiano britannico sul lancio ipersonico di Pechino. Unica nota, la preoccupazione condivisa dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dal portavoce del Pentagono John Kirby circa gli sviluppi ipersonici di Pechino.
In mancanza di una risposta ufficiale dalla Casa Bianca, la replica a stelle e strisce sembra essere stata in un certo senso affidata agli scienziati impegnati nel perfezionamento del programma ipersonico nazionale. Infatti, in una nota diffusa il 20 ottobre, il Pentagono ha reso noto di aver portato a termine un triplice test sulle componenti degli Hgv di Marina ed Esercito.
A differenza della Cina, gli Stati Uniti hanno escluso l’impiego nucleare dei missili ipersonici. Considerano piuttosto quest’ultimi ideali per assicurare alle forze armate americane la capacità di poter colpire qualsiasi bersaglio nel minor tempo possibile con armi convenzionali. Secondo le ultime proiezioni, la difesa statunitense dovrebbe schierare i primi assetti nel 2022-2023.
Lo Spazio come una delle possibili soluzioni
Al netto delle diverse affermazioni di alcuni vertici militari statunitensi sulle crescenti potenzialità cinesi, la combinazione della rediviva minaccia missilistica spaziale di sovietica memoria (ovvero il Fractional orbital bombardment system – Fobs) e dell’ultima innovazione in campo ipersonico avrebbe stupito militari e addetti ai lavori a tal punto da far parlare di un nuovo “momento Sputnik”, riportando così alla memoria l’isteria collettiva che attanagliò gli Stati Uniti dopo la messa in orbita del primo satellite artificiale.
Un paragone probabilmente improprio data la differenza dei periodi storici e delle conseguenze che quell’avvenimento innescò. Eppure, entrambi i momenti sembrano essere accomunati da un’improvvisa percezione di vulnerabilità: una sensazione che potrebbe essere stata alimentata dal riserbo con cui gli Stati Uniti, ovvero lo stato con il più avanzato sistema di sensori terrestri e spaziali, hanno trattato la notizia. Un approccio dettato potenzialmente dalla volontà di non riconoscere all’avversario una capacità che quest’ultimo non si vanta di possedere.
Sebbene, come si diceva in precedenza, l’impatto di questa tecnologia sia ancora materia di studio, un punto però risulta largamente condiviso da più analisti: i rischi collegati all’ipersonico richiederanno l’ammodernamento dei sistemi di difesa missilistica. In questo senso, lo spazio atmosferico ed extra atmosferico veicolerebbe non solo la minaccia ma anche la potenziale soluzione. La creazione di una rete di infrastrutture spaziali potrebbe, in questo senso, rendere meno complesso il tracciamento e l’intercettazione di un pericolo che dalla Terra appare quantomeno sfuggente.
Foto di copertina di EPA/YANG GE