Le ong palestinesi designate come organizzazioni terroristiche e le difficoltà Ue
Dopo la violenta escalation di maggio e l’insediamento del nuovo governo di coalizione in Israele, si è tornati a parlare di Palestina. A far notizia è la decisione del 22 ottobre scorso del ministro della Difesa Benny Gantz che, appellandosi ad una controversa Legge Antiterrorismo del 2016, ha designato sei ong palestinesi, attive da molti anni nella difesa dei diritti umani, come “organizzazioni terroristiche”
Le ong colpite sono Addameer Prisoner Support and Human Rights Association, Al-Haq, Bisan Center for Research and Development, Defense for Children International-Palestine (Dci-p), Union of Agricultural Work Committees (Uawc) e Union of Palestinian Women’s Committees (Upwc). Secondo le accuse israeliane, tali gruppi operano sotto copertura per conto del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, formazione da anni designata come gruppo terroristico da Israele, Stati Uniti e Unione europea.
Le prove rimangono secretate e le organizzazioni stesse hanno negato con forza ogni accusa. Gli effetti della decisione, tuttavia, sono considerevoli: chiunque lavori con queste ong o le finanzi rischia l’arresto. Tutto questo mira a compromettere i rapporti con i donors internazionali, l’Ue prima fra tutti, vista la sua collaborazione di lunga durata con molte delle organizzazioni incriminate.
“Decisione spaventosa”
L’annuncio ha destato forti reazioni internazionali. L’Alto Commissario Onu per i diritti umani l’ha definito un “inaccettabile attacco alle libertà”. “Decisione spaventosa e ingiusta” la replica congiunta di Human Rights Watch e Amnesty International, che – oggetto esse stesse di ripetute critiche e accuse da parte di Israele – da tempo collaborano con alcune delle ong coinvolte. L’organizzazione per i diritti umani israeliana B’Tselem ha invece parlato di “atto di codardia” tipico di regimi autoritari repressivi.
L’amministrazione Biden ha accolto con sorpresa l’annuncio di Gantz, affermando di non essere stata preventivamente informata e di attendere chiarimenti. L’Ue ha fatto sapere di prendere seriamente in considerazione le accuse, ricordando, tuttavia, che in passato simili affermazioni si sono spesso rivelate infondate.
Non è la prima volta che l’Ue, principale donor internazionale della Palestina, viene accusata di sostenere gruppi affiliati con organizzazioni terroristiche. Nel 2019, è stata aggiunta una clausola a tutti i contratti di finanziamenti Ue alle ong, nella quale viene stabilito che i fondi non potranno essere destinati a enti o personalità affiliate a gruppi riconosciuti come terroristiche dall’Ue. Stando a quanto riportato da Ngo-Monitor, un organo di lobby e monitoraggio con strettissimi legami con il governo israeliano, nel periodo 2011-2019, l’Ue avrebbe autorizzato 38 milioni di euro ad ong che Israele sostiene siano collegate a gruppi terroristici.
Ancora una volta però le prove rimangono scarne, e sono in molti quindi a considerare queste accuse un semplice tentativo di limitare i finanziamenti alla società civile palestinese. Secondo l’Associazione israeliana per i Diritti Umani, la dichiarazione di Gantz costituisce infatti solo l’ultimo di un crescendo di tentativi di diffamazione e delegittimazione delle associazioni palestinesi e israeliane attive nella difesa dei diritti umani.
La disfida delle olive
In territorio occupato, nel frattempo, le violazioni dei diritti umani sono in crescente aumento. Basti pensare a quanto sta accadendo durante la raccolta delle olive. Ormai da decenni, infatti, tra restrizioni di accesso imposte dall’esercito e violenze perpetrate da coloni israeliani, i contadini palestinesi sono sempre più presi di mira. La Croce Rossa Internazionale calcola che tra agosto 2020 e agosto 2021 più di 9.300 olivi sono stati distrutti per mano dei coloni.
Quest’anno, soltanto ad ottobre – mese in cui inizia la stagione di raccolta –, tra ulivi sradicati (più di 1.400) e aggressioni violente, si stimano 58 attacchi. Questi episodi s’inseriscono in un quadro più ampio di aumento delle violenze da parte dei coloni. Secondo l’Ocha, nel 2021, si sono registrati 389 attacchi nei confronti della popolazione palestinese. Molte organizzazioni per i diritti umani e la stessa Onu denunciano il clima di impunità: non solo gli aggressori non vengono quasi mai puniti, ma gli attacchi vengono spesso perpetuati sotto gli occhi dell’esercito.
Il 28 settembre, ad esempio, nel villaggio di al-Mufaqarah in Cisgiordania occupata è avvenuto un attacco definito tra i peggiori degli ultimi anni. B’Tselem ha parlato di “pogrom”: un gruppo di diverse decine di coloni, alcuni armati, si è scagliato contro il villaggio, distruggendo abitazioni e veicoli, ferendo 29 civili, tra cui un bambino di tre anni.
Se l’accaduto ha prodotto reazioni a livello internazionale, anche la continua espansione degli insediamenti israeliani desta critiche. A seguito dell’ennesimo annuncio di oltre 3,100 nuove unità abitative nelle colonie, l’Ue, rimarcandone l’illegalità, ha intimato il governo a desistere, ma le costruzioni continuano a passo spedito. B’Tselem calcola che il numero di coloni in Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est) è aumentato del 222% negli ultimi 20 anni.
La credibilità della diplomazia europea
L’annuncio di venerdì scorso sottolinea le difficoltà della diplomazia europea nel contesto israelo-palestinese. Il sostegno economico alla società civile palestinese – da sempre elemento cardine dell’appoggio europeo alla formula a due Stati – sembra ora collidere con la volontà, suggellata anche dalle recenti trasferte europee del ministro degli Esteri israeliano, di inaugurare una nuova pagina di distensione nei rapporti Europa-Israele.
L’uscita di scena di Netanyahu, infatti, non ha avviato alcun cambiamento di rotta sulla questione palestinese. Al contrario. L’occupazione avanza, così come i suoi costi: per i palestinesi in primis, ma anche per la società israeliana e per la credibilità della diplomazia europea.
Foto di copertina EPA/AMEL PAIN