IAI
L'Airshow di Zhuhai

La Cina scommette sul futuro della sua aeronautica

25 Ott 2021 - Francesco Valacchi - Francesco Valacchi

L’industria aeronautica cinese ha avuto una convincente occasione di mostra internazionale con il più grande evento dedicato all’aviazione e al mondo aerospaziale sul territorio di Pechino: l’Airshow di Zhuhai, cittadina della provincia meridionale del Guandong. L’evento, inizialmente programmato per il novembre 2020 e poi rimandato a ottobre di quest’anno  a causa dell’emergenza sanitaria, è stata una ben organizzata réclame delle potenzialità tecniche industriali cinesi ma anche della postura strategica della potenza asiatica in un momento particolarmente “caldo” per la situazione nelle regioni strategiche Pacifico e Asia centrale, con gli sviluppi della situazione in Afghanistan.

La postura cinese in particolare nel Pacifico vede l’inesorabile tentativo di imposizione di una solida strategia di Anti Access/Area Denial con l’obiettivo di rimanere l’unica presenza in possesso di un peso geopolitico determinante e ottenere vantaggi univoci con lo spettro di una scontata vittoria in caso di conflitto regionale. Un conflitto che avrebbe tutte le caratteristiche della guerra di quinta generazione, con l’utilizzo disinvolto di un misto di mezzi convenzionali e non convenzionali e la decisiva presenza di fattori di influenza psicologici, politici e sociali disseminati attraverso canali cyber, come nel caso dell’operazione Naval Gazing condotta dalla Cina nello spazio virtuale e psicologico di alcuni Paesi Asean circa un anno fa.

Proprio nella casella di rilevante démonstration de force, non solo e non tanto tecnologico militare, quanto industriale e politica (in funzione del peso come fattore di influenza) deve con ogni probabilità inserirsi il salone aeronautico di Zhuhai. Nell’evento, cospicuamente pubblicizzato dalle agenzie ufficiali cinesi, non solo per la parte aerospaziale, sono stati presentati avanzati sistemi d’arma aeronautici.

L’industria del Dragone
Fra i velivoli presenti all’evento su cui s’è rivolta maggiormente l’attenzione, il J-20, caccia stealth di ultima generazione operativo dal 2018 ed impiegato nel Mar cinese meridionale. La versione apparsa al salone aereo montava motori completamente prodotti in Cina, a sostituire i precedenti di produzione russa. Il J-20 è prodotto dalla Chengdu Aerospace Corporation, controllata della Aviation Industry Corporation of China (Avic), impresa a direzione statale. La Avic, colosso del settore controlla in realtà tutte le più importanti case produttrici di aerei militari del Paese, come la Xi’an Aircraft Industrial Corporation (costruttrice dei bombardieri H-6 e H-8), la Shenyang Aircraft Corporation (responsabile dei vari progetti Shenyang, come il J-16) e la Harbin Aircraft Industry (titolare di vari elicotteri militari sviluppati in Cina e costruiti su licenza).

Secondo alcuni analisti la concentrazione direzionale quasi completa delle industrie militari nelle mani di un unico attore ha causato l’appiattimento dello sviluppo tecnologico portando, soprattutto dal 2008 a questa parte, ad un rallentamento della corsa all’innovazione. La produzione cinese resta comunque interessata all’esportazione diretta e alla co-produzione (emblematico il caso della solida cooperazione con il Pakistan) e la ricerca di competitività in tale frangente potrebbe convincere/costringere la dirigenza del Partito comunista cinese (Pcc) a implementare una nuova strategia.

Resta fermo il fatto che le industrie aeronautiche di Pechino sono in grado di mettere in campo pregevoli velivoli pilotati (anche se per molti frangenti non all’altezza del livello apicale statunitense) e, soprattutto, sistemi d’arma di spessore come gli UAV WZ-7 ed i missili aria-aria PL-15E, in grado di colpire allo stesso modo velivoli e missili e di poter discernere gli effetti collaterali della balistica terminale.

Nodo interoperabilità
Alcune considerazioni possono sorgere da un breve esame dello stato dell’arte della tecnologia aeronautica cinese e del conseguente impiego e ricaduta sulle capacità delle forze armate, in primis la propria interoperabilità. Grandissima parte della tecnologia aeronautica realizzata da Pechino non dimostra ancora un elevatissimo grado tecnologico e particolare versatilità ad un coordinamento dell’ambiente operativo. Proprio il J-20, pur con il nuovo motore ed un’accresciuta capacità di superiorità aerea, lascia ancora dei dubbi sulla completa capacità stealth e dispone di sensori di rilevamento integrati in un sistema di Battlespace management (controllo del campo di battaglia) certamente inferiori rispetto, ad esempio all’F-35. Pur tuttavia Pechino ha saputo dimostrare, quantomeno negli ultimi dieci anni, di poter sostenere una rilevante corsa all’innovazione.

Un tassello che forse ancora manca alle forze armate del Pcc, e che va a braccetto con la tecnologia degli armamenti è una capacità di interoperabilità e compatibilità dei sistemi d’arma con eventuali alleati (ad esempio i Paesi della Shanghai Cooperation Organization), al di là di alcuni eventi addestrativi che promuovono l’integrazione, anche perché è ancora scarsa una certa, completa, reliability, come potrebbe essere quella dimostrata intorno ai più stretti alleati degli Stati Uniti nel campo della politica di intelligence.

Per sottolineare la ben più articolata organizzazione occidentale anche in questo campo basta ricordare i rapporti che intercorrono fra i five eyes (Usa, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda e Australia) che hanno dimostrato di poter portare ad accordi effettivi ben profondi anche a livello politico-militare, anche nel teatro regionale Asia-Pacifico. Questo gap potrebbe essere però superato in tempi non lunghi se la Cina persegue la propria politica militare con la costanza e la rapidità dimostrate sinora.

Foto di copertina EPA/ALEX PLAVEVSKI