Kurz in bilico? Terremoto politico in Austria
La stella di Sebastian Kurz si era appannata già in primavera, per effetto di indagini condotte dalla Procura Anti-Corruzione su messaggi chat emersi nel corso dei lavori della Commissione di inchiesta sull’Ibizagate: uno scandalo che aveva travolto non lui ma il suo scomodo alleato Heinz-Christian Strache, e gli aveva anzi offerto lo spunto per sbarazzarsene e per sciogliere la coalizione con l’estrema destra.
La Commissione era stata usata dai partiti di opposizione per intaccare l’immagine di Kurz e del suo braccio destro Gernot Blümel, ministro delle Finanze. Ma la sua popolarità ne aveva risentito solo marginalmente, e il successivo congresso del partito aveva confermato all’unanimità la sua incontestata leadership. Una rottura della coalizione era vista come possibile ma poco probabile.
La situazione è cambiata drammaticamente il 6 ottobre con una raffica di perquisizioni ordinata dalla suddetta Procura nelle sedi del Partito popolare, della Cancelleria, del ministero delle Finanze e di organi di informazione, nonché in numerose abitazioni private. L’ordine di perquisizione documenta in oltre cento pagine le accuse, che gli interessati e il partito hanno ovviamente subito definito infondate, mentre secondo le forze di opposizione dovrebbero portare alle dimissioni di Kurz o al suo licenziamento da parte del capo dello Stato (teoricamente previsto dalla Costituzione).
Le ipotesi della Procura
Nella fase precedente delle indagini si imputava a Kurz un interessamento a favore di una importante azienda che aveva problemi con il fisco italiano, e quindi il fumus di finanziamento illecito (peraltro non provato); e false dichiarazioni alla citata Commissione d’inchiesta per aver minimizzato il proprio ruolo nella designazione di un tal Thomas Schmid, allora segretario generale del ministero delle Finanze, a capo della Oebag, la holding delle partecipazioni statali.
Questo personaggio è al centro anche della nuova fase delle indagini. In base a suoi incauti messaggi chat che risalgono al 2016-17, la Procura ha ipotizzato i reati di corruzione e appropriazione indebita; Kurz ne sarebbe stato complice o istigatore.
L’allora giovanissimo ministro degli Esteri, con l’aiuto di Schmid e altri suoi sodali, avrebbe avviato la scalata alla guida del partito Övp e poi del governo cospirando con gli editori del quotidiano Österreich e di una rete televisiva per mettere in cattiva luce il leader del partito e vice-cancelliere Reinhold Mitterlehner. E allo stesso fine avrebbe “comprato” un sondaggio di opinione da cui emergeva un calo dei consensi dovuto alla scialba figura del suddetto rivale, e la prospettiva di una rimonta nel caso che lui avesse preso il timone (come poi è avvenuto).
Il sondaggio sarebbe stato commissionato e pagato da Schmid con fondi del suo ministero, cioè di tasca del contribuente. L’appoggio del giornale dei fratelli Fellner avrebbe avuto come contropartita delle inserzioni a pagamento, con importi forse gonfiati.
La tesi del cancelliere
A questo riguardo, Kurz risponde (intervista del 6 ottobre sera al telegiornale ZIB 2) che inserzioni da parte di ministeri ed enti pubblici per sostenere organi di stampa sono un fatto normale. Quanto al sondaggio incriminato, fa notare che una trentina di sondaggi effettuati nello stesso periodo da vari istituti evidenziavano lo stesso calo di consensi per l’Övp (intorno al 18%), e che il raddoppio sotto la sua guida è stato certificato da varie elezioni successive, non può quindi essere frutto di manipolazioni.
L’elemento di prova che mette in difficoltà il cancelliere sono alcuni messaggi chat di Schmid o altri suoi sostenitori che esultano per il successo di quelle operazioni mediatiche. Messaggi – fa notare Kurz – di cui lui non è il mittente, e perlopiù neanche il destinatario. In un caso lui risponde: “Buon sondaggio!”. Lo si è interpretato come un elogio a chi lo avrebbe manipolato, ma può anche essere una normale espressione di soddisfazione per i risultati della consultazione.
Il quadro che emerge al di là di ogni dubbio è quello di una squadra di “giovani turchi” che attua un ben congegnato piano di conquista del potere nel partito all’insegna dello svecchiamento (il “progetto Ballhausplatz”), avvalendosi di tutti i mezzi della moderna comunicazione. Tutti da dimostrare gli asseriti risvolti penali e, qualora ve ne fossero, l’imputabilità allo stesso Kurz. Nel farlo notare, è sembrato sottintendere che in caso di una effettiva incriminazione è propenso a dissociarsi da Schmid contando sulla mancanza di prove a proprio carico.
Giustizia e politica
Difficile sottrarsi all’impressione che i magistrati della Procura Anti-Corruzione abbiano criminalizzato comportamenti disinvolti o esagerato la gravità di reati minori perché condividono una ostilità verso il brillante cancelliere che è diffusa nel mondo politico viennese, ma assai meno nell’opinione pubblica. Ostilità comprensibile se si considera che i socialisti prima e la destra nazionalista poi sono stati da Kurz estromessi dalla coalizione governativa; e che all’interno del suo partito ha fatto una specie di golpe e messo in riga tutti i notabili. Il ricorso a massicce perquisizioni con confisca di computer e cellulari può in effetti far pensare ad un accanimento giudiziario.
Lo ha detto esplicitamente un deputato dei popolari, provocando dure parole di condanna da parte del presidente della Repubblica Alexander van der Bellen: mettere in dubbio l’oggettività degli organi giudiziari è una trasgressione inammissibile.
I tre partiti di opposizione – di sinistra, centro e destra – hanno chiesto una seduta straordinaria della Camera e le dimissioni di Kurz. Lui intende restare al suo posto, ritenendo di poter dimostrare l’infondatezza delle accuse, quantomeno di quelle rivolte specificamente a lui. Ma la presa di distanza del presidente indebolisce la sua posizione. Così pure quella del vice-cancelliere Werner Kogler, dei Verdi, che ha sottolineato la gravità dei fatti contestati.
Crisi di governo all’orizzonte
A questo punto una crisi di governo, nei prossimi giorni (per martedì è convocata la Camera) o al momento dell’incriminazione, non è affatto da escludere. I Verdi, già da tempo a disagio per la scarsa influenza che riescono ad esercitare sulla politica del governo di cui fanno parte, sono ora inclini a votare la sfiducia a Kurz, ma vorrebbero mantenere in piedi la coalizione sotto la guida di un altro democristiano. Soluzione nettamente respinta dall’Övp, tuttora solidale con il suo leader. In realtà per far cadere il governo basterebbe che sei deputati verdi sui 26 che conta il gruppo votassero la sfiducia. Ma sarebbe una crisi al buio, dato che la maggior parte dei partiti e dei deputati non vuole andare a nuove elezioni.
In teoria, ammesso che siano acquisiti quegli ipotetici 6-7 transfughi, i tre partiti di opposizione potrebbero formare una innaturale alleanza, una conventio ad excludendum diretta contro il partito democristiano e diretta dai socialisti, come quella che per motivi diversi si sta delineando in Germania.
Ma cè una differenza sostanziale: al di là della assonanza fra Fdp e Fpö, il primo è un partito liberal-conservatore, il secondo un partito di estrema destra. Se a Berlino è un compito non facile trovare convergenze fra socialdemocratici e Verdi da un lato e l’Fdp di Christian Lindner dall’altro, ben più difficile è immaginare un comune denominatore fra l’Spö di Pamela Rendi-Wagner e l’Fpö di Herbert Kickl.
La capacità di Kurz di resistere alla tempesta dipende da vari fattori: l’esito del dibattito in seno al partito dei Verdi, di cui si è detto; i risultati delle ulteriori indagini della Procura; possibili incrinamenti nella solidarietà dei leader regionali del Partito, che hanno dovuto subire l’egemonia del giovane rampante viennese ma vedono arrivare l’ora della rivalsa.
In caso di caduta del governo, non è affatto detto che il capo dello Stato tenti la strada impervia di una eterogenea coalizione fra socialisti, liberali e nazionalisti, con l’appoggio o l’astensione dei verdi, o quella (più plausibile) di una alleanza fra socialisti, verdi e liberali con l’astensione dell’estrema destra: potrebbe nominare un governo-ponte composto da tecnici e indire nuove elezioni nella prima metà del 2022. Sarebbe una ripetizione di quanto avvenne dopo la crisi provocata nel 2019 dallo scandalo Ibizagate.
Foto di copertina EPA/CLEMENS BILAN