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L'11 settembre 20 anni dopo

Un attacco contro l’Occidente, una risposta su cui riflettere

10 Set 2021 - Alessandro Marrone - Alessandro Marrone

Gli attentati dell’11 settembre furono attacchi contro gli Stati Uniti e contro tutto l’Occidente in quanto comunità politica di valori quali diritti umani, libertà civili, stato di diritto, democrazia liberale. Attacchi in nome di una visione alternativa del mondo, quella del terrorismo internazionale di matrice islamica, come testimoniato da Oriana Fallaci.

Per questo la Nato ha invocato l’articolo 5 del trattato di Washington sulla difesa collettiva, per la prima e unica volta nei suoi 72 anni di storia: gli attacchi di New York e Washington erano attacchi contro tutti noi occidentali. Per questa ragione una delle più grandi coalizioni internazionali della storia moderna ha appoggiato l’intervento militare in Afghanistan, con la partecipazione attiva di Onu, Nato, Ue, di tutto il G8 compresi Giappone e Russia. Intervento cui l’Italia ha contribuito sin dall’inizio e con un ruolo importante, senza mai mollare per due decenni.

Questo dato storico rimane a 20 anni di distanza, al di là delle modalità e degli errori con cui è stata condotta la guerra al terrorismo nel ventennio successivo.

La caccia costante ai sospetti terroristi
La prima e più duratura risposta degli Stati Uniti è stata diretta e immediata per spazzare via Al Qaeda dall’Afghanistan, quando ancora si cercavano i resti dei 2.996 morti tra New York e Washington. L’obiettivo era eliminare chiunque fosse coinvolto negli attacchi, e per quanto possibile i fautori di altri eventuali attentati. Questa risposta è culminata con l’uccisione di Osama Bin Laden nel 2011, e del suo sodale talebano, il mullah Omar, nel 2013.

In Afghanistan, Pakistan e altrove gli Usa hanno adottato una strategia di contrasto al terrorismo condivisa da Bush, Obama, Trump e Biden: l’intelligence, le forze armate e i droni americani colpiscono senza sosta, e ovunque nel mondo, i sospetti terroristi senza puntare ad un arresto e un processo. È un cambiamento profondo, duro, introiettato dalla classe dirigente e dall’opinione pubblica americana, che pone pesanti implicazioni per l’Europa in quanto tocca direttamente proprio quei valori – in primis lo stato di diritto – per difendere i quali si combatte il terrorismo islamico.

Gli americani sono venuti a patti con questa realtà post 11 settembre, e in nome della propria sicurezza hanno sacrificato una parte della loro anima, e della loro immagine agli occhi del mondo. Venti anni senza gravi attentati sul suolo americano sono per gli Usa un successo per cui vale pagare questo prezzo. 

Costruire, cambiare, andarsene, crollare
In parallelo alla costante caccia ai terroristi, negli ultimi 20 anni è oscillato molto l’approccio americano agli Stati in cui il terrorismo trovava appoggio, in primis l’Afghanistan. Con Bush, avendo cacciato i talebani, si è tentato di costruire istituzioni locali in grado di controllare il territorio, assicurare un minimo di servizi essenziali alla popolazione e una qualche forma di rappresentanza politica, pacifica e democratica. Vista le enormi difficoltà e costi di questo approccio, Obama ha puntato a chiudere l’impegno militare sul suolo iracheno e a limitare quello afgano. Trump ha cercato di lasciare Afghanistan e Iraq costi quel che costi, e Biden ha completato l’opera a Kabul con i risultati disastrosi sotto gli occhi di tutti. Per dirla con le categorie dello storico statunitense Walter Russel Mead, la componente jacksoniana della politica estera americana ha prevalso su quella wilsoniana.

Tali cambiamenti di approccio hanno risposto ad una logica di politica interna cinica quanto comprensibile: negli anni immediatamente successivi all’11 settembre c’era il consenso per una vendetta ed una guerra preventiva che poi nel tempo è diventata sempre più insostenibile per l’elettorato, a fronte di costi elevati, risultati modesti, e svolte simboliche come l’uccisione del nemico Bin Laden. Tutto ciò ha avuto implicazioni pesanti per gli alleati europei. L’Europa è stata la prima a chiedere di costruire le istituzioni afghane, già con gli accordi di Bonn a dicembre 2001, in base al comprehensive approach europeo che mette insieme sicurezza e sviluppo – un mantra dell’Ue per oltre un decennio. E l’Europa ha investito molto in Afghanistan tramite la Nato, con 30mila militari europei sul terreno nel 2011; tramite l’Ue che vi ha dispiegato per 10 anni una missione per formare la polizia afgana, e con l’impegno bilaterale di tanti Paesi – Italia in primis.

Quando gli Usa di Trump e Biden hanno rinunciato completamente all’idea di sostenere le istituzioni in Afghanistan, gli europei hanno assistito passivamente, chiudendo gli occhi di fronte al bivio che si poneva loro con i negoziati di Doha con i Talebani: abbandonare il loro comprehensive approach, e gli afghani, o investirci di più per colmare il vuoto lasciato dagli USA. Solo quando a giugno 2021 sono arrivati i primi segnali di un possibile e rapido crollo dell’Afghanistan, Gran Bretagna e Italia hanno proposto in ambito Nato di mantenere una limitata presenza militare a Kabul per non bruciare quanto costruito. Francia, Germania e gli altri hanno voltato le spalle, ed è andata come è andata. Una scelta legittima in base alla percezione attuale degli interessi europei, ma che rende l’Europa corresponsabile del dramma afghano.

Stati Uniti, Europa e Nato 20 anni dopo
Vent’anni dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti possono dire a sé stessi: abbiamo vendicato i nostri morti, ucciso i nostri nemici, protetto il nostro Paese; e continueremo a farlo senza più erodere le risorse militari, economiche e diplomatiche che oggi e in futuro servono per competere con l’avversario cinese e mantenere la leadership mondiale. Gli Stati Uniti dovrebbero dire anche che hanno commesso gravi e tragici errori nel chiudere l’intervento afghano e nell’intervenire tout court in Iraq.

Cosa può dire l’Europa a sé stessa 20 anni dopo l’11 settembre? Per capirlo, anche alla luce del dramma afghano, c’è bisogno di una nuova riflessione ed autocritica. Una riflessione critica che gli alleati occidentali dovrebbero fare insieme. All’ingresso del quartier generale Nato a Bruxelles ci sono un pezzo del Muro di Berlino ed uno delle Torri Gemelle, a ricordare le minacce affrontate insieme. Se il primo rappresenta una storica vittoria dell’Occidente, il secondo simboleggia oggi una sconfitta che resterà impressa nell’immaginario collettivo. Superarla non sarà facile.

Foto di copertina EPA/JUSTIN LANE