La lotta interna fra i Républicains per il trono di Macron
PARIGI – Les Républicains hanno fatto la loro scelta: niente più primarie. Sabato 25 settembre c’è stato il referendum tra i membri del partito nella prospettiva delle scadenze elettorali del 2022: presidenziali in aprile e legislative in giugno. Una netta maggioranza (58 contro 40%) vuole sostituire le “primarie allargate” con una consultazione interna. La volta scorsa (2016) oltre quattro milioni di francesi erano andati alle urne per le primarie organizzate dai Républicains. La scelta del 25 settembre è stata compiuta da 23.095 iscritti a un partito di 80.000 membri (circa la metà dei quali non ha neanche partecipato al voto).
Il partito dei Républicains ha un doppio volto di potenza locale e di debolezza nazionale: ha moltissimi sindaci e al Senato (i cui membri sono eletti da chi è già titolare di un mandato elettivo) ha oggi ben 147 seggi su 348. Ma i sondaggi in vista delle prossime presidenziali vedono il suo candidato dietro Emmanuel Macron e Marine Le Pen.
La strada è in salita. E poi c’è il peso del passato. Nel prendere la loro decisione del 25 settembre, gli iscritti LR avevano ben in mente le primarie del 2016, divenute un grande evento mediatico nazionale. Davanti alle telecamere, l’ex primo ministro (2007-2012) François Fillon incenerì l’ex presidente Nicolas Sarkozy, fresco di avviso di garanzia, dicendo che il generale De Gaulle si sarebbe ritirato da una corsa elettorale se avesse avuto conti in sospeso con la Giustizia. Vinte le primarie, Fillon si trovò lui stesso indagato, ma non rinunciò alla candidatura e alla fine non si qualificò neanche per il secondo turno presidenziale. Così le primarie sono state considerate come l’anticamera del suicidio.

Ed ecco l’altra fondamentale scelta del 25 settembre: sostituzione delle primarie con un Congresso del partito, che si svolgerà il 4 dicembre in coincidenza con le nuove elezioni interne per la scelta del candidato. Elezioni tra i soli iscritti in regola col pagamento delle quote. Anche prevedendo un boom delle iscrizioni per partecipare a quel voto, si parla di un centinaio di migliaia di persone e si resta a una distanza siderale dalla marea dei votanti del 2016.

Dissidenti e non
Oggi ci sono tre principali “candidati alla candidatura” presidenziale, ma uno solo di essi ha la tessera LR: l’ex commissario europeo Michel Barnier (70 anni), Mister Brexit. Gli altri due hanno lasciato il partito nel corso dell’attuale legislatura.
La presidentessa della regione parigina Valerie Pécresse (54 anni), lo ha fatto in modo burrascoso. Il presidente della regione settentrionale Xavier Bertrand (56 anni) se n’è andato nel dicembre 2017 con le dovute cautele. In caso di primarie (a cui Pécresse era favorevole e Bertrand assolutamente contrario), ambedue avrebbero potuto partecipare alla competizione senza dover rientrare nei ranghi. Adesso, se aspirano al sostegno LR, devono per forza riprendere la tessera.

In pratica le decisioni del 25 settembre riducono di molto le chances di Pécresse, che per di più è marginale nei sondaggi su un ipotetico primo turno presidenziale: quello del Journal du Dimanche (26 settembre) dice che solo l’8% dei simpatizzanti LR la considera “miglior candidato” per battere Macron (il 63% indica Bertrand e l’11% è per Barnier). Il risultato del voto degli iscritti soddisfa largamente Bertrand e non crea troppi problemi a un uomo di dialogo come Barnier (che tra l’altro è sostenuto dall’influente presidente della regione di Lione, Laurent Wauquiez).

Svolta a destra
In vista delle prossime sfide, Barnier resta fedele alla sua linea liberale, pragmatica ed europeista, mentre Bertrand comincia a inasprire i suoi discorsi in tema d’immigrazione e di ordine pubblico, come se fosse già nell’ottica della campagna elettorale del 2022 e dovesse rosicchiare voti alla destra più radicale.
In questo modo Bertrand cerca anche di tagliare l’erba sotto i piedi a un altro candidato interno: Eric Ciotti, esponente dell’ala destra del partito, che il 4 dicembre può registrare un risultato tutt’altro che trascurabile. Il significato dello schema approvato il 25 settembre è chiaro: gestire la democrazia interna evitando il suicidio politico che potrebbe annidarsi nella logica delle primarie.
I Républicains si chiudono in sé stessi nella speranza di partire alla (difficilissima) riconquista del potere centrale. Hanno assoluto bisogno di essere uniti perché – quand’anche il loro candidato non arrivasse al secondo turno delle presidenziali – potrebbero prendersi una rivincita in giugno al voto per il rinnovo dell’Assemblea nazionale.