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Il ricordo dell'ex presidente algerino

Bouteflika: nel bene e nel male un leader espressione del suo tempo

20 Set 2021 - Antonio Armellini - Antonio Armellini

Abdelaziz Bouteflika, morto a 86 anni al termine di un declino catatonico durato anni, superiore forse a quello di Leonid Brezhnev, aveva decisamente una marcia intellettuale e politica in più rispetto ai suoi comprimari e concorrenti. Nel mio periodo di lavoro in Algeria li ho incontrati quasi tutti: da Ben Bella ad Ait Ahmed, da Said Saadi ai presidenti militari, e la distanza in termini di lucidità politica e di visione strategica era evidente. Che potesse giocarli una volta tornato in sella era una facile previsione.

Bouteflika ha attraversato la storia del suo Paese in tutte le sue componenti: leader dell’Fln de l’exterieur nella lotta di liberazione, ministro degli Esteri a ventisei anni, presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, protagonista della grande stagione terzomondista del suo Paese, vittima di uno scontro di potere che lo costrinse prima all’esilio e poi a lungo ad un semi-isolamento politico, sulla fine del secolo scorso è tornato sulla scena ed è stato eletto presidente della Repubblica, con il mandato di porre fine allo stallo fra terrorismo interno e governi controllati dai militari che insanguinava l’Algeria dal golpe con cui nel 1993 erano state cancellate le elezioni vinte dagli islamisti del Fis.

Le violenze erano entrate in una spirale che sembrava senza fine ed egli riuscì a raggiungere il suo obiettivo da un lato agendo in base a un accordo non scritto con il “pouvoir” politico-militare cha da sempre governava (e governa) il Paese e, dall’altro, imponendo a un governo delegittimato un accordo con la guerriglia islamista, accolto con sollievo da un’opinione pubblica esausta. Degli epigoni dell’Fln che ancora tenevano le redini del gioco politico conosceva tutto e gli fu facile imporre le sue scelte e i suoi uomini. Si accordò con il capo di Stato maggiore, il generale Smain Lamari, che era il vero detentore del potere del Paese, per un percorso di normalizzazione concluso il quale ne ridimensionò progressivamente l’autorità sino ad eliminarlo, e con lui la “cupola” dei generali dai quali aveva ricevuto il suo primo mandato.

Si aprì così una stagione di aspettative crescenti, con il ritorno della stagione della politica. Ma era una politica malata, le forze migliori restavano al margine, il rinnovamento era ai minimi termini e l’Fln, che restava lo strumento a lui più familiare, era sempre più debole e corrotto. Così come non decollava un’economia, ancora una volta incapace di dare vita ad una vera capacità produttiva e ancorata al veleno della rendita petrolifera e di una politica di meri trasferimenti.

Bouteflika è stato nel bene e nel male espressione del suo tempo, che avrebbe potuto cambiare e che ha soprattutto utilizzato per consolidare un potere che la sua visione e capacità avrebbero potuto rendere migliore di quanto è stato. L’incapacità di pensare ad una successione che ne consolidasse nel tempo la visione politica, la tentazione della satrapia, la corruzione dilagante accompagnano negativamente la sua testimonianza. Che è stata ancora una volta per quel Paese sfortunato di speranze e ambizioni disattese. Ciò non toglie che sia stato una personalità fuori dal comune: abitavamo vicino e sviluppammo un rapporto di consuetudine cordiale fin quando divenne presidente, che si rafforzò quando lo accompagnai in giro per l’Italia in occasione della sua visita di Stato nel 2000. Mi diceva ogni tanto: “Vuol venire a prendere un rapido caffè da me?”  e ogni volta uscivo dopo una chiacchierata di non meno di quattro-cinque ore – tempi degni di Fidel Castro – esausto e invariabilmente colpito da una dimensione che, come dicevo, non trovavo di paragonabili nel Paese.

Il suo orizzonte politico era inevitabilmente rivolto alla Francia, come peraltro e in più decisivi versi agli Stati Uniti, ma aveva simpatia per l’Italia e ci era grato del fatto che Alitalia fosse stata la prima – e per lungo tempo l’unica – compagnia aerea ad aver rotto l’embargo che dopo le violenze della prima età degli anni Novanta aveva indotto tutte le compagnie aeree occidentali ad abbandonare lo scalo di Algeri, condannando il Paese ad un sostanziale isolamento. Fu una mossa abile dalla quale avremmo potuto trarre un buon capitale politico ed economico. Ma, come tante volte accade alla nostra politica estera, non lo facemmo.

Foto di copertina EPA/MOHAMED MESSARA