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I 16 anni della cancelliera

Angela Merkel: dalla Germania Est alla leggenda politica

22 Set 2021 - Michele Valensise - Michele Valensise

“Ogni inizio è difficile” (aller Anfang ist schwer), recita un vecchio proverbio tedesco, e la vita e la carriera politica di Angela Merkel dimostrano quanto quel detto sia aderente alla realtà. Già l’infanzia della figlia del pastore protestante nata a Amburgo e trasferitasi in fasce nella Germania Est, all’epoca in cui molti nella Ddr sognavano l’opposto, di poter fuggire in Occidente, era stata irta di difficoltà. Restrizioni, sospetti e controlli stringenti erano pane quotidiano nella Germania comunista, con gli uomini di Chiesa visti con fastidio e diffidenza.

In un ambiente chiuso e repressivo, disciplina e tenacia si sviluppano meglio che altrove. La futura cancelliera cresce nel segno dell’impegno e della prudenza, brillante negli studi, è un’appassionata ricercatrice di fisica quando tutto crolla e il destino della giovane scienziata si trasforma di colpo. Come donna e cittadina dell’Est è duro anche cominciare a districarsi tra le insidie dell’agone politico, eppure non si scoraggia e scala con grinta la montagna ripida del potere. Imparerà dopo a muoversi con sicurezza; i primi passi sono complicati e incerti.

I primi trentacinque anni di vita, con la circospezione e le cautele necessarie, lasciano il segno anche su una personalità forte e determinata. Merkel conquista consensi, il partito e infine il governo. Non è portatrice di un’ideologia radicata, predilige piuttosto scelte pragmatiche e a quelle si affida per tenere saldamente in mano il timone, emarginando concorrenti e piegando avversari. Resta al governo per 16 anni ininterrotti, nella Germania federale prima di lei solo Kohl era riuscito a essere altrettanto longevo alla cancelleria.

Il metodo è quello del rigore e della sobrietà, lo stile solo apparentemente algido, la determinazione personale molto forte. E i risultati non si fanno attendere. Alla caduta del Muro la madre l’avrebbe voluta indirizzare verso l’Spd, di cui era simpatizzante; invece la giovane Angela si sentì più a suo agio nel campo conservatore e aderì alla Cdu, salvo poi orientare alcune decisioni cruciali per il Paese su linee vicine alla socialdemocrazia. Le incursioni della Cancelliera in campi cari alla sinistra riformista (lavoro, welfare, diritti civili) la hanno esposta da un lato alla critica di cannibalismo politico e dall’altro a quella di tradire alcune posizioni tradizionali della Cdu. In ogni caso è riuscita, fino a poche settimane fa, a ridimensionare il suo alleato-concorrente, la Spd, e a mantenere unita una Cdu bisognosa della sua guida competente e rassicurante.

Molta tattica, poca strategia, dice più d’uno. O ancora, troppe esitazioni, scarso coraggio in più di uno snodo importante per la Germania e per l’Europa. È davvero così? Certo, ponderazione e gradualità sono indiscutibili tra i tratti distintivi di Merkel come della sua politica. Tuttavia nell’arco dei lunghi anni in cui ha monopolizzato la scena politica abbiamo visto anche altro, cesure impreviste, scatti improvvisi, decisioni audaci, non solo temporeggiamenti estenuanti.

Fin dall’esordio, il passo inaudito, maturato in solitudine, di sferrare un attacco senza precedenti contro il suo stesso mentore Helmut Kohl, e di ribaltare un partito in affanno alla fine degli anni Novanta, dimostrò la fibra della sfidante. Quella manovra ardita non fu l’unica. Lo stesso si può dire per altre, ben note decisioni di grande impatto, dall’abbandono del nucleare, all’accoglienza dei rifugiati, alla stessa acquiescenza/adesione, contro il volere della Bundesbank, alla politica espansiva della Banca centrale europea perseguita da Mario Draghi.

Europa e atlantismo sono stati due cardini fissi nel percorso di Angela Merkel. Con gli Stati Uniti, prima che strategico, il rapporto è sentimentale. Quella è la terra delle libertà e delle opportunità, sognata per anni in silenzio al di là della cortina di ferro. I vincoli di solidarietà e di collaborazione tra i due lati dell’Atlantico sono saldi, anche quando si addensano le nubi. Dieci anni fa, durante la presidenza Obama, l’amara sorpresa di scoprirsi sistematicamente spiata, insieme ad altri esponenti tedeschi di primo livello, dai servizi di sicurezza americani venne metabolizzata senza conseguenze politiche.

Nel complicato quadriennio di Trump, Merkel è stata attenta a distinguere la scarsissima chimica personale tra i due leader dagli interessi permanenti tedeschi nei confronti dell’America. La raccomandazione della cancelliera agli europei di prendere il destino nelle proprie mani fu un appello (inascoltato) all’Europa, non una sfida agli Stati Uniti. Da ultimo, le perplessità per le iniziative unilaterali di Biden e la delusione per un approccio nella sostanza non troppo distante dal suo predecessore hanno lasciato la porta aperta al dialogo e alla volontà di un’intesa aggiornata, non di una rottura.

Nel quadrante europeo è stata decisiva più per l’infaticabile opera di tessitura e mediazione, che per la conduzione decisa del convoglio. Per età e origine non può avere nel cuore l’Europa dei leader renani, ma tra esitazioni e qualche prudenza di troppo il progetto comune resta prioritario. Per questo la ricerca del compromesso è una costante, un riflesso naturale, quando le divergenze interne sembrano insuperabili e la posta in gioco, in ultima analisi, è la stessa tenuta della casa europea. Nei mesi scorsi la pandemia ha spinto l’Ue a una straordinaria solidarietà, è chiaro che non si sarebbe giunti a tanto senza Merkel: il suo successore dovrà ricordarlo, gli europei anche.

Foto di copertina EPA/STEFANIE LOOS / POOL