Afghanistan: nemici o nuovo corso, il dilemma talebani
Un punto ancora non chiaro emerso dalla vicenda afghana è se sia bene o no che Biden sposti il massimo della sua attenzione dall’Asia alla vasta area che va dal Pakistan al Mediterraneo, nella quale è prevedibile che continueranno a manifestarsi i ribollimenti più diversi e gli svolgimenti politici più differenti. Sicuramente, nel lungo termine, il confronto-chiave rimane quello con la Cina (con la Russia in posizione necessariamente secondaria per la sua strutturale debolezza economica). Ma nel termine breve e medio, è la vitalità del jihadismo che rimane il problema numero uno, investendo sia i difficili equilibri di quell’area sia, anche, le gravi condizioni di molti paesi dell’Africa, cioè una posta crociale per il futuro degli equilibri mondiali.
L’interrogativo da sciogliere è perciò se il movimento talebano – una volta andato al potere in Afghanistan e destinato a rimanervi come elemento centrale dell’Islamismo politico – sia ora da considerare un nemico irrecuperabile dell’Occidente, o se al contrario costituisca una forza tendenzialmente diversa da quella emersa nel passato; dunque diversa dal Jihadismo terrorista e destinata, probabilmente, a divenire avversa ad esso (come già oggi si accenna).
In questo quadro sono senz’altro da rivedere i primi giudizi della stampa internazionale, condensati nell’inconsueta dimensione data dal titolo di copertina dell’Economist Biden debacle. Disastrosa, per la verità, non è stata l’iniziativa politica portata avanti a Doha – da attribuire anzi ad uno dei pochi meriti di Trump – né la decisione conseguente di lasciare l’Afghanistan. Indecente è stata l’operazione tecnica che ha realizzato la decisione politica, e che deriva in gran parte dalla condizione di inefficienza e precarietà in cui Trump ha condotto i principali settori dell’amministrazione americana (su ciò, in particolare, la spietata analisi pubblicata dal Corriere della Sera a firma di Massimo Gaggi). Non poche responsabilità, d’altra parte, ricadono sui paesi che avevano a lungo operato in Afghanistan e che sono poi stati silenziosi o assenti al momento degli accordi di Doha. E che poi, per oltre un anno, hanno dimenticato di stringere intese con gli Sati Uniti e di preparare piani operativi per il recupero delle proprie forze sul campo. Una sprovvedutezza inspiegabile, ancor più di quella americana, e appena compensata dal generoso impegno dei molti europei rimasti fino alla fine a Kabul.
È in tale bailamme che ha brillato l’assenza, in particolare, dell’Unione europea, mal coperta dagli elementi positivi che l’hanno caratterizzata di recente, come il Recovery Fund e la politica verde. Oggi l’Europa è ovviamente bloccata dalle elezioni in Germania e Francia. Ma è almeno riapparso, se non altro come punto di domanda, il problema del voto all’unanimità. È ovviamente questione decisiva per la presenza politica della Ue: e non sembra dubbio che la sua soluzione passa, in termini relativamente meno difficili, attraverso creative nuove soluzioni d’ordine istituzionale, capaci di raccogliere i willing and able, piuttosto che attraverso scelte implicanti violazione o rottura del Trattato.
E c’è infine da considerare lo spazio di azione delle medie potenze più attive nel Medio-Oriente: la Turchia, l’Egitto, l’Iran, il Pakistan, l’Arabia Saudita. Forse è da ritenere che la loro opera non potrà non tener conto degli svolgimenti futuri dell’Islamismo politico, che difficilmente potrebbero prescindere dai fondamentali dati nuovi della condizione mondiale: dall’avanzata delle forze femminili in ogni paese allo sviluppo delle nazioni povere finanziariamente sorretto dall’Occidente; a quell’elemento condizionante, costituito dal cambiamento climatico)e dagli indirizzi economici che gli Stati nazionali, volenti o nolenti, dovranno seguire per bloccarne l’impatto; e infine, anche alla crescita di peso delle organizzazioni internazionali in grado di operare in modo delinquenziale sul terreno dell’informatica. Un Islam politico che avversi o prescinda da tutto questo difficilmente potrebbe avanzare nel mondo.