IAI
L'"Ecolabel" Ue

Idealismo e realismo sulla difesa europea

8 Ago 2021 - Michele Nones - Michele Nones

Sul piano teorico tutti, Stati membri e cittadini, sembrano condividere la necessità di difendere l’Unione europea, il suo territorio, la sua popolazione e il suo sistema economico, sociale e politico. La differenza si manifesta rispetto al come farlo, soprattutto alla luce delle nuove minacce ibride, molto più subdole e imprevedibili rispetto a quelle tradizionali.

L’Unione europea è, come noto, un’organizzazione sociale senza precedenti nella storia. Fra le sue peculiarità vi sono il fatto che in realtà vi coabitano più popoli (con la loro storia, cultura e lingua), ma anche e da sempre una sovranità limitata perché condivisa con i suoi Stati membri. Nel caso della difesa, è particolarmente ridotta perché, dopo due guerre mondiali e quelle legate alla decolonizzazione, era stato indispensabile escludere all’inizio e poi limitare successivamente la competenza delle istituzioni europee nel campo della difesa. La costruzione dell’Europa della difesa è così proceduta a piccoli passi (in parte formalizzati nelle successive modifiche dei Trattati) e solo negli ultimi quindici anni ha cominciato, seppur lentamente, ad emergere.

Le sfide della globalizzazione, cosi come l’allargamento delle aree di instabilità, hanno, però, evidenziato i costi e i rischi di un processo di integrazione europeo troppo economico e finanziario e poco politico e militare. Questa “ambiguità” dell’Unione spiega perché al suo interno convivano due anime, idealismo e realismo, che ancora non sembrano aver trovato un punto di equilibrio.

La difesa dell’Unione presuppone una sempre maggiore attenzione per la sovranità tecnologica che rappresenta il vero deterrente nei confronti di ogni possibile minaccia, tradizionale o ibrida. Dobbiamo padroneggiare autonomamente le tecnologie più avanzate per utilizzarle nella sorveglianza, interdizione, contrasto e rimozione delle attività ostili. Di qui la necessità di consolidare le nostre capacità tecnologiche e industriali nel settore dell’aerospazio, sicurezza e difesa. Tanto più dimostreremo la nostra forza, tanto più ridurremo il livello dei rischi.

Nessuno Stato membro, nemmeno quelli più grandi, è in grado di farlo da solo. È, quindi, indispensabile un sostegno comune allo sviluppo tecnologico, consolidando la decisione dell’Unione europea di avviare uno specifico fondo per il settore della difesa, l’Edf – il Fondo europeo per la difesa con i suoi quasi 8 miliardi in sette anni. Un buon esempio di come la vecchia visione “idealista”, che aveva visto in passato l’esclusivo finanziamento di progetti nel settore civile (poi mitigata con l’allargamento al settore della sicurezza), sia stata superata da una visione “realista” che ha riconosciuto la strategicità del settore della difesa anche sul piano del contributo all’innovazione tecnologica.

E per capire quanto ancora pesi la visione “idealista” basta ricordare che l’Esa – l’Agenzia spaziale europea (peraltro fuori dal quadro comunitario) abbia mantenuto nel suo atto costitutivo il divieto di finanziare progetti militari. O la “lending policy”, la politica del prestito della Eib – la Banca europea per gli investimenti che esclude, al primo posto, “Ammunition and Weapons, Military/Police Equipment or Infrastructure”, parificandole a progetti inaccettabili sul piano ambientale o sociale o controversi sul piano etico o morale. Per fortuna nel primo caso il “realismo” è prevalso ed è ora stata costituita parallelamente una seconda agenzia senza limitazioni, l’Euspa – l’Agenzia dell’Unione europea per il programma spaziale, mentre i finanziamenti della Commissione saranno gestiti dalla nuova DG Defis – Direzione generale Industria della difesa e spazio, per la prima volta dichiarandoli apertamente ed evidenziando lo stretto rapporto fra difesa, sicurezza e spazio. Nel secondo caso, invece, i ministeri dell’Economia e delle Finanze degli Stati membri si continuano a muovere con cautela per paura di danneggiare l’ottimo rating dell’Eib, legato anche all’attrazione “etica” esercitata nei confronti dei ricchi fondi sociali e pensionistici, a loro volta legati anche ai patrimoni delle varie organizzazioni religiose.

Quest’ultima problematica è recentemente riemersa in termini molto più pericolosi. Il Joint Research Center (Jrc) dell’Unione europea sta lavorando da alcuni anni alla definizione di un “Ecolabel” per definire gli aspetti sociali e di governance delle imprese. Questa classificazione sarebbe utilizzata per confermare la loro “compatibilità” con la “finanza sostenibile”. Va da sé che le imprese escluse sarebbero fortemente danneggiate nell’accesso al mercato finanziario con conseguente perdita di valore per gli attuali azionisti e difficoltà nel reperire capitali sul mercato borsistico e finanziario e nel partecipare ai programmi europei nel campo della “finanza sostenibile”.

Nell’ultima versione (marzo) di questa proposta del Jrc si propone l’esclusione di un’impresa se ricava più del 5% del suo fatturato dalla “production or trade of conventional weapons and/or military products used for combat”.

Se questa previsione dovesse essere confermata, le conseguenze non sarebbero probabilmente immediate, ma rafforzerebbero la convinzione che le imprese impegnate nell’aerospazio, sicurezza e difesa non sono “sostenibili”. Il peggioramento dell’immagine e la diffusione di questo “messaggio” a livello europeo potrebbe avere un progressivo effetto indiretto sugli investitori, come è avvenuto nel passato per il settore del tabacco.

Ovviamente questa sarebbe solo una “etichetta” e, quindi, ogni investitore potrebbe decidere o meno di accettare l’impresa interessata nel suo portafoglio finanziario. Ma, poiché gli investitori stanno prestando una crescente attenzione al tema degli Isr-Investimenti socialmente responsabili, questa “etichetta” sarà sempre più utilizzata.

Sarebbe meglio, di conseguenza, tornare alla precedente versione della definizione del Jrc che prevedeva l’esclusione dalla “Ecolabel” delle sole imprese impegnate nella “production or trade of weapons that are covered by the following international treaties: Chemical Weapons Convention, Biological Weapons Convention,Ottawa Convention (Ban on Anti-Personnel Mines), Oslo Convention (Ban on Cluster Munition) and the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons. The production or trade of conventional weapons and/or military products used for combat if there is evidence of sales in countries under EU restrictive measures”. 

Non dovrebbero essere le imprese del settore aerospaziale, sicurezza e difesa in quanto tali a sollevare le preoccupazioni degli investitori “etici”, ma, caso mai, quelle impegnate in particolari attività. Ovviamente anche queste ultime sono necessarie e devono poter operare efficientemente, cercando altri finanziatori.

Tutti, compresi gli investitori “etici”, dovrebbero sempre ricordarsi che non c’è “sostenibilità” senza sicurezza e che questa dipende dal mantenimento di adeguate capacità tecnologiche e industriali in questo campo. Un altro caso in cui bisogna saper coniugare idealismo e realismo.

Foto di copertina EPA-EFE/PATRICK SEEGER