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Le novità della direttiva

Politica industriale della difesa, se il ministro ci mette la faccia

29 Lug 2021 - Alessandro Marrone - Alessandro Marrone

Per la prima volta nella storia del ministero della Difesa viene adottata una direttiva ministeriale sulla politica industriale in questo ambito.

Già nel 2015 il Libro Bianco sulla Difesa aveva stilato, in modo innovativo, un capitolo sulla politica industriale e tecnologica, demandandone però l’attuazione ad una Strategia poi rimasta purtroppo nei cassetti del ministero stesso. Questa volta lo status di direttiva ministeriale rappresenta una piena e pubblica assunzione di responsabilità del vertice politico, che funge da indirizzo non solo per il Ministero ma per l’industria nazionale, sia a livello domestico sia nella proiezione europea e internazionale.

Ciò avviene perché questo aspetto della politica di difesa è un elemento essenziale della crescente competizione geopolitica tra Stati, che si svolge su un continuum tra la dimensione militare, industriale, tecnologica, economica e di intelligence, in una prospettiva multi-dominio che integra anche spazio e cyberspace. Serviva quindi un atto di indirizzo al massimo livello politico per dare un orizzonte strategico alle attività concrete delle strutture ministeriali preposte, in primis il segretariato generale della Difesa/direzione nazionale Armamenti (Sgd/Dna), rispetto sia alla controparte industriale sia ai Paesi alleati, partner e concorrenti.

Il coordinamento inter-ministeriale…
Così come serviva e servirà un coordinamento tra il ministero della Difesa e quello dello Sviluppo economico. L’industria dell’aerospazio, sicurezza e difesa è parte integrante della base industriale e tecnologica nazionale, con una continua osmosi di innovazione di prodotto e di processo, ma mantiene una sua specificità in quanto deve servire prima di tutto a soddisfare le esigenze dello strumento militare preposto alla tutela della sicurezza e degli interessi nazionali.

Il senso politico della direttiva è anche quello di spostare il baricentro della politica industriale della Difesa più vicino al prioritario sviluppo capacitivo delle Forze armate. Vengono quindi fissati una serie di obiettivi e di conseguenti linee di azione, lasciando a Sgd/Dna il necessario margine di manovra per attuarle.

…e quello all’interno del sistema-Difesa
Il raccordo tra la direttiva e l’attività concreta dovrebbe essere assicurato da due novità introdotte dal documento. Da un lato il Piano di innovazione tecnologica della Difesa, strumento pluriennale di pianificazione funzionale a verifica e rilancio degli obiettivi di politica industriale – che si spera abbia più fortuna della suddetta Strategia figliastra del Libro Bianco 2015. Dall’altro un tavolo tecnico di coordinamento della politica industriale (Ttpi) della Difesa, istituito presso l’ufficio di gabinetto del ministro, che concretizza l’assunzione di responsabilità politica su questo terreno.

Infatti, secondo la direttiva, “il Ttpi intende costituire consesso di incontro e raccordo con l’autorità politica in merito a tutte le tematiche attinenti alla politica industriale della Difesa nel settore aerospazio, difesa e sicurezza, nonché ambito per la condivisione di informazioni, trasversale a tutte la parti interessate sul lato governativo e industriale, con particolare riferimento alla definizione e agli sviluppi del Piano di innovazione tecnologica della Difesa, allo stato e alle prospettive della cooperazione multinazionale, alla proiezione internazionale dell’industria nazionale sui mercati esteri, anche attraverso l’implementazione degli accordi G-to-G.”

L’obiettivo è passare da un rapporto fornitore-cliente ad un “sistema-Difesa” che, in analogia con il concetto di sistema-Paese, sia “sinergico e strategicamente solidale, rivolto allo sviluppo più che all’acquisizione, alle tecnologie più che ai prodotti, ai programmi più che ai contratti, alla dimensione europea e internazionale più che al mercato nazionale.”

Integrazione europea, collaborazione transatlantica, autonomia strategica  
Secondo la direttiva “la cooperazione in ambito europeo resta prioritaria”, in particolare tramite Permanent Structured Cooperation (Pesco) ed European Defence Fund (Edf), ma “la relazione con gli Stati Uniti rimane parimenti strategica, in ottica complementare all’Europa”. Inoltre, la storica collaborazione strategica con il Regno Unito dovrà essere perseguita sul piano bi-multilaterale “adeguando conseguentemente la normativa nazionale”.

Perché alle parole seguano i fatti, la Difesa dovrà anche perseguire una più rilevante e qualificata presenza italiana in ambito Nato, a livello di Commissione europea, Agenzia europea della difesa (Eda), Servizio europeo di azione esterna (Eeas) e Occar -l’Organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti, ndr -, “migliorando il coordinamento e la definizione della posizione nazionale tra i soggetti istituzionali coinvolti”, finora un punto dolente del sistema-Paese.

All’interno di questa bilanciata visione europeista e atlantista il documento declina in modo pragmatico i concetti di autonomia strategica e sovranità tecnologica, come “riduzione della dipendenza tecnologica, il supporto alla ricerca nelle tecnologie emergenti e disruptive, il presidio della sovranità tecnologica e il controllo degli investimenti esteri, il rafforzamento delle sinergie tra la Difesa e le industrie civili, coerenza, stabilità e qualità degli investimenti nazionali”.

Pmi, Piano nazionale di ricerca militare e sostegno all’export
La direttiva tratta diversi elementi rilevanti pesando bene le parole, meritando una lettura approfondita più che una sintesi. Tra gli spunti da tenere d’occhio vi sono sicuramente i riferimenti alla specializzazione e integrazione orizzontale e verticale delle piccole e medie imprese (PMI) e il loro accesso all’Edf per rafforzarle nella competizione internazionale, il Piano nazionale di ricerca militare da sincronizzare sia con la ricerca Ue sia con quella condotta in Italia in ambito civile e spaziale, stabilità e profondità dei finanziamenti per i programmi di procurement, mirate forme di interdipendenza con i Paesi alleati e partner in possesso di capacità tecnologiche complementari o superiori a quelle nazionali, la grande attenzione all’export in un’ottica collegiale di governo e quindi l’attuazione degli accordi Government-to-Government anche tramite una semplificazione delle relative autorizzazioni all’esportazione.

In definitiva, la direttiva mette molta carne al fuoco articolando una visione strategica chiara e strutturata. Un buon punto di partenza per iniziare il difficile percorso della sua attuazione.

Foto di copertina ANSA/MASSIMO PERCOSSI