IAI
Il via ai Giochi

La lunga marcia delle Olimpiadi di Tokyo 2020

23 Lug 2021 - Leo Goretti - Leo Goretti

“Con le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Tokyo 2020 mostreremo al mondo un Giappone che avrà portato a termine in maniera lodevole la ricostruzione a seguito del Grande Terremoto del Giappone Orientale, un Giappone che è attivo sul palcoscenico globale”. Questo era il significato che l’allora primo ministro Shinzo Abe attribuiva all’assegnazione dei due grandi eventi al Giappone nel settembre 2013: scacciare i fantasmi del “triplo disastro” (terremoto, tsunami e incidente nucleare di Fukushima) del 2011 e celebrare una maggiore proattività del Paese sullo scacchiere globale, in una sorta di ideale parallelismo con i Giochi di Tokyo del 1964, che avevano simboleggiato il ritorno del Giappone nel consesso internazionale dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale.

Come insegna la storia recente, tuttavia, di rado le intenzioni dei governi democratici che ottengono l’assegnazione di un grande evento come le Olimpiadi estive sopravvivono alle contingenze della vita politica e alle turbolenze dell’ordine globale. Così i Giochi di Londra 2012, strappati a Parigi nel 2005 dal governo Blair in una sorta di canto del cigno della stagione di grandeur della Cool Britannia, si erano svolti in un contesto di crescente euroscetticismo e austerità sotto la premiership di David Cameron; e quelli di Rio 2016, i primi a essere organizzati da un Paese sudamericano, ottenuti nel 2009 a coronamento del secondo mandato presidenziale di Lula, erano stati inaugurati in un clima di profonda crisi politica ed economica dal presidente ad interim Michael Temer, mentre l’allora capo di Stato Dilma Rousseff era in attesa del processo di impeachment.

L’impatto della pandemia
Nel caso di Tokyo 2020, a rimettere in discussione non solo il significato, ma persino l’organizzazione stessa dei Giochi, non sono state vicissitudini politiche, bensì la pandemia da Covid-19. Ancora a inizio 2020, le Olimpiadi sembravano poter rappresentare l’occasione ideale per celebrare la stagione di relativa prosperità e di forte stabilità politica che aveva caratterizzato il secondo periodo di premierato di Shinzo Abe. Tra febbraio e marzo dello scorso anno, non senza tentennamenti e resistenze, alla fine anche il Comitato internazionale olimpico (Cio) e il comitato organizzatore si erano dovuti arrendere di fronte alla gravità della crisi sanitaria in atto: fino ad arrivare alla decisionesenza precedenti nella storia dei Giochi – di spostare l’evento al 2021, pur mantenendo la denominazione originaria.

A distanza di 16 mesi, sui Giochi di Tokyo non sembra però essere tornato il sereno. La crisi pandemica è tutt’altro che superata, sia a livello globale, sia nel Paese organizzatore: ad appena due giorni dall’apertura dei Giochi, il livello di nuove infezioni nella capitale giapponese è il più alto degli ultimi sei mesi, con oltre 1800 nuovi casi registrati, mentre la campagna di vaccinazione è ancora in ritardo (appena il 23% dei giapponesi è stato vaccinato). Non solo, ma il contagio serpeggia anche tra gli accreditati ai Giochi, tra cui si registrano già 79 casi, di cui 8 tra gli atleti, ai quali è stato peraltro preventivamente chiesto di firmare una liberatoria in cui si sollevano gli organizzatori da responsabilità relative a possibili contagi legati all’evento.

Crescente scetticismo
L’opinione pubblica giapponese dimostra da mesi un notevole scetticismo (secondo un recente sondaggio appena il 22% è favorevole allo svolgimento dei Giochi nella situazione pandemica attuale), con numerosi opinionisti ed esponenti politici apertamente contrari alla manifestazione, al punto da spingere l’ex premier Abe a prendere posizione pubblicamente contro lo spirito “anti-giapponese” di alcuni dei più fieri oppositori dei Giochi. Eppure le Olimpiadi si terranno, sia pur senza pubblico e con pochissime autorità internazionali presenti alla cerimonia inaugurale.

A spingere a tenere i Giochi, nonostante tutto, c’è senz’altro una motivazione economica: il costo ufficiale della manifestazione, originariamente stimato in 7,5 miliardi di dollari, era già cresciuto a 15,4 miliardi nel dicembre 2020; dati ufficiosi calcolano il costo complessivo a carico dei contribuenti giapponesi oltre i 25 miliardi di dollari. L’impatto di una cancellazione sui contratti televisivi e pubblicitari sarebbe enorme, anche se alcuni sponsor giapponesi hanno già iniziato a prendere le distanze dall’evento per evitare un danno reputazionale.

Una questione di sopravvivenza politica
Ci sono però anche motivazioni politiche alla radice della scelta di andare avanti. Il premier giapponese Yoshihide Suga, succeduto al dimissionario Abe nel settembre 2020, deve fare i conti un tasso di approvazione molto basso (poco superiore al 30%); sotto la sua guida il Partito liberaldemocratico, da sempre dominatore assoluto della vita politica giapponese, ha riportato una serie di brucianti sconfitte elettorali, incluse le recenti elezioni amministrative a Tokyo. Con le prossime elezioni parlamentari in programma a ottobre e la leadership del Partito Liberal Democratico da riconfermare a fine settembre, per Suga la buona riuscita dei Giochi olimpici è divenuta una questione di sopravvivenza politica.

Ma forse ancora più importante è un fattore di carattere internazionale, che ha indotto ad andare avanti con l’organizzazione dei Giochi a qualunque costo. Ad appena sei mesi di distanza da Tokyo 2020, nel febbraio 2022, Pechino si appresta a organizzare i Giochi olimpici invernali; Giochi che il comitato organizzatore cinese ha di recente promesso saranno “semplici, sicuri e splendidi”. Con le Olimpiadi invernali di Pechino alle porte, una cancellazione o un fallimento di Tokyo 2020 rappresenterebbe uno smacco assoluto per il governo giapponese, e una simbolica consacrazione dell’egemonia della Repubblica Popolare sull’Indo-Pacifico.

Foto di copertina EPA/KIMIMASA MAYAMA