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"Patria y vida"

A Cuba le proteste di piazza sfidano la Rivoluzione di Fidel

14 Lug 2021 - Francesco Tabarrini - Francesco Tabarrini

Un vero e proprio terremoto politico si è scagliato in questi giorni sui Caraibi che, dopo l’assassinio del presidente Moïse ad Haiti, vedono ora dilagare violente protese anti-regime a Cuba.

Domenica 11 luglio in alcune città dell’isola, tra cui Palma Soriano e San Antonio de los Baños (quest’ultima vicinissima a L’Avana), centinaia di manifestanti sono scesi nelle piazze e nelle strade per protestare contro le difficilissime condizioni di vita nel Paese, chiedendo vaccini contro il Covid-19 e lamentando lunghissimi e frequenti periodi di blackout elettrico in alcune zone dell’isola. In realtà, però, le proteste nascondono un’insofferenza più generale legata alle condizioni economiche che stanno mettendo in ginocchio il Paese.

L’economia cubana nell’ultimo anno ha visto una contrazione di oltre il 10% (la peggiore performance da circa 30 anni) e la popolazione lamenta da tempo la scarsità di generi alimentari di prima necessità come riso, farina e carne, oltre alla mancanza di benzina e medicinali.

Lo spettro della guerra civile
In poche ore le proteste – diffuse attraverso i social – si sono estese a tutto il Paese ed hanno assunto i tratti di un sollevamento popolare contro il regime comunista. In tutta l’isola migliaia di manifestanti – definiti ormai “controrivoluzionari” dalle autorità cubane – hanno iniziato ad intonare slogan come Patria y vida” in risposta al famoso grido “Patria o muerte” che ha accompagnato Fidel Castro verso la Revoluciòn del 1959.

Oggi i Castro non sono più alla guida del Paese e la nuova classe dirigente cubana, guidata dal presidente della Repubblica e primo segretario del partito Miguel Díaz-Canel, si trova a fronteggiare quella che alcuni osservatori definiscono già come la più grave crisi dal Maleconazo del 1994. In molte città i manifestanti hanno preso di mira negozi e devastato automobili ed edifici ingaggiando scontri con la polizia e l’esercito e inneggiando “contro la dittatura e per la libertà”. Sono seguite repressioni violente da parte delle forze dell’ordine e numerosi arresti che hanno coinvolto anche giornalisti stranieri. Una parte della popolazione, tuttavia, si è dimostrata ancora fedele al governo de L’Avana accogliendo il messaggio del presidente Díaz-Canel di “difendere la rivoluzione per le strade“. Un aspetto, questo, che rende molto concreto lo scenario di un’evoluzione degli scontri – sempre più polarizzati – verso il conflitto civile.

Lo stesso presidente cubano, rivolgendosi alla nazione, non ha esitato a puntare il dito verso gli Stati Uniti, incolpando il governo di Washington di aver aggravato la situazione economica cubana attraverso un embargo definito “genocida” unito alle sanzioni (le ultime volute da Donald Trump e non ancora ritirate da Joe Biden) e sostenendo che ci sarebbe proprio l’azione della Cia dietro le proteste di questi giorni volta a destabilizzare il Paese.

La risposta de L’Avana
Come spesso accade, però, la verità sta nel mezzo o, come in questo caso, nella somma dei fattori. Le cause che hanno scatenato le violente proteste, infatti, possono solo in parte essere ricondotte agli effetti- pur evidenti- sulla popolazione delle sanzioni economiche e commerciali volute dagli Usa. Va considerato anche che, al di là dell’atto simbolico nel ricambio dei vertici di partito, Cuba continua ad essere un Paese con un partito unico e un’economia pianificata, in cui lo Stato continua a giocare un ruolo predominante. Insomma, nonostante l’uscita di scena dei Castro, la nuova generazione di leader non è riuscita a fornire alla popolazione cubana quei segnali di rinnovamento politico attesi, forse preoccupata maggiormente di tutelare i precetti del castrismo.

A questo clima di delusione e insofferenza crescenti vanno aggiunti poi gli effetti della pandemia che è tornata a farsi sentire con forza in tutta l’isola. Dopo che per mesi il Paese era riuscito a controllare l’andamento dei contagi, contenendoli a poche decine al giorno, nelle ultime settimane si è assistito ad un’impennata dei numeri dell’ordine di migliaia di casi. Lo scorso sabato l’isola ha registrato, per il terzo giorno consecutivo, il maggior numero di contagiati da Covid: quasi 7000. Una cifra che i media locali considerano largamente sottostimata dal governo de L’Avana, più concentrata sul vaccino Abdala, ormai pronto ad essere distribuito alla popolazione e con un’efficacia dichiarata del 92%.

La reazione della comunità internazionale
Nonostante ciò, le proteste continuano in tutto il Paese, così come le repressioni e gli scontri. La comunità internazionale in queste ore ha provato a far sentire la propria voce in parte condannando l’operato de L’Avana, soprattutto in merito agli arresti dei manifestanti e alle repressioni delle forze dell’ordine (Stati Uniti e Unione europea), e in parte schierandosi a fianco del governo cubano (Russia e Messico), considerando inaccettabile ogni tipo di interferenza esterna in quelli che considerano “affari interni” di Cuba.

Dìaz- Canel, da parte sua, ha ribadito che la reazione del governo nei confronti dei manifestanti sarà forte e volta a reprimere con decisione “la violenza controrivoluzionaria”. Un messaggio che, infine, desta molta apprensione sui risvolti delle proteste e sul futuro stesso di Cuba.

Foto di copertina EPA/Jeffrey Arguedas