Sánchez fa il primo passo per ricostruire il dialogo con la Catalogna
BARCELLONA. Le relazioni tra Spagna e Catalogna sembrano avviarsi poco a poco verso una certa normalizzazione dopo oltre un decennio di forti tensioni. La decisione del premier Pedro Sánchez di concedere l’indulto ai leader indipendentisti incarcerati per i fatti dell’autunno del 2017, approvata dal Consiglio dei ministri questo martedì, segna senza ombra di dubbio l’inizio di una nuova tappa, per quanto la strada da percorrere sia ancora lunga e le posizioni rimangano ovviamente distanti. I nove dirigenti indipendentisti possono così uscire definitivamente dal carcere, ma, trattandosi di indulti parziali, continueranno inabilitati e non potranno tornare ad occupare cariche istituzionali fino ad aver scontato la pena – tra i 9 e i 13 anni – che era stata stabilita dalla Corte Suprema.
Il premier socialista era convinto della necessità di dialogo con Barcellona fin dall’inizio del suo primo governo, nel giugno 2018, ma la correlazione di forze nel Parlamento spagnolo, l’intenso ciclo elettorale dell’ultimo biennio, la situazione di emergenza creata dalla crisi pandemica e, non ultimo, le divisioni interne all’indipendentismo catalano avevano reso molto difficile procedere a tappe spedite su questa via. Le elezioni regionali catalane dello scorso mese di febbraio e la formazione di un esecutivo a Barcellona guidato per la prima volta da Esquerra Republicana de Catalunya (Erc) hanno facilitato il compito di Sánchez.
Per quanto il nuovo governo catalano continui ad essere indipendentista e sia in pratica una riedizione di quelli dell’ultimo decennio, vi è infatti una differenza cruciale: non vi è solo la novità che la presidenza sia espressa da Erc, ma anche il fatto che il partito guidato da uno dei leader condannati a lunghe pene di carcere dalla Corte Suprema spagnola nell’ottobre del 2019, Oriol Junqueras, abbia abbracciato ormai la via pragmatica, rinunciando all’opzione della rottura unilaterale con Madrid. Il nuovo presidente della Generalitat, Pere Aragonès, difende l’utilità del tavolo di dialogo con il governo spagnolo, per quanto consideri l’indulto insufficiente e rivendichi l’amnistia, oltre a un referendum di autodeterminazione accordato con lo Stato, sul modello scozzese.
La “riconciliazione” tra Madrid e Barcellona
Sánchez, dal canto suo, ha una doppia ragione per spingere verso quella che ha definito, in un discorso nel teatro del Liceu di Barcellona davanti a una numerosa rappresentanza della società civile catalana, la “riconciliazione” con la Catalogna. Da una parte, è indubbio, vi è la “volontà di concordia e convivenza” per chiudere una tappa dolorosa per tutto il Paese iberico e riprendere il controllo politico di una questione che era stata delegata ai tribunali dal precedente esecutivo guidato dal Partido Popular (Pp).
Dall’altra, però, è evidente anche la convenienza politica: l’esecutivo di coalizione tra i socialisti e Unidas Podemos, infatti, governa in minoranza, basandosi sull’imprescindibile appoggio di diverse formazioni regionaliste e nazionaliste, inclusi gli indipendentisti catalani. Con l’indulto, insomma, Sánchez rafforza la sua maggioranza in vista della seconda parte della legislatura in un momento chiave segnato dalla ripresa post-pandemica e l’avvio del Recovery plan su cui tutti pongono molte speranze.
L’asse con Aragonès
Sánchez e Aragonès, in sintesi, hanno bisogno l’uno dell’altro. Il primo per resistere fino alla fine della legislatura e proteggersi dalle offensive che una destra sempre più barricadera e rinvigorita dalla vittoria alle regionali di Madrid del mese scorso non perde occasione di lanciare. Il secondo per non soccombere alla pinza dei settori più intransigenti dell’indipendentismo, strenui difensori della via unilaterale per quanto si inizino a sentire voci fuori dal coro: è bene ricordare, infatti, che Erc governa in Catalogna con la destra di Junts per Catalunya, il partito guidato dall’ex presidente Carles Puigdemont, rifugiatosi in Belgio dall’ottobre 2017 e attualmente eurodeputato, e ha bisogno dell’appoggio parlamentare degli anti-capitalisti della Candidatura d’Unitat Popular che vedono come fumo negli occhi l’invito al dialogo di Sánchez.
La scelta del premier socialista è dunque coraggiosa tenendo conto che secondo diversi sondaggi circa due terzi della popolazione spagnola è contraria all’indulto agli indipendentisti catalani. Non pochi di questi sono elettori socialisti. Ma si percepisce, allo stesso tempo, anche una grande voglia di voltare pagina e non perdere il treno della ripresa post-pandemica. Non solo, infatti, la Chiesa si è dichiarata a favore della decisione dell’esecutivo, ma anche le associazioni degli imprenditori, sia quelli catalani sia quelli spagnoli. Sembra esserci, insomma, una volontà di facilitare le cose, nonostante le manifestazioni di piazza della destra, guidata dagli ultras di Vox, e le raccolte di firme del Pp: iniziative che in entrambi i casi, va detto, hanno raccolto meno consensi del previsto.
La spinta europea
E una spinta, per quanto dietro le quinte, arriva anche dall’Europa che non vuole nuove tensioni in un momento estremamente delicato come l’attuale in un Paese, per di più, che è il secondo beneficiario netto degli aiuti del Next Generation EU dopo l’Italia. Rimanendo su scala continente, non è forse un caso che anche l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa proprio lunedì ha approvato una risoluzione in cui si giudica positivamente l’indulto, si chiede la riforma del codice penale riguardo ai reati di sedizione e ribellione – un altro dossier su cui sta lavorando il governo Sánchez – e la sospensione delle richieste di estradizione per gli indipendentisti fuggiti all’estero, come Puigdemont. Quest’ultima è sicuramente una delle molte questioni spinose che si dovranno risolvere.
Lo scrittore Manolo Vázquez Montalbán ha descritto la transizione spagnola alla democrazia come una correlazione di debolezze, più che di forze, tra l’antifranchismo, che non poteva ottenere l’anelata rottura netta con le élites della dittatura, e il regime, che avrebbe voluto imporre un franchismo senza Franco. Il risultato fu la necessità di arrivare ad accordi e costruire un consenso, difficilmente immaginabile alla morte del dittatore, per transitare verso un regime democratico. Ora potrebbe essere proprio una nuova correlazione di debolezze, quella di Sánchez e quella di Aragonès, a favorire l’inizio di un dialogo vero tra Barcellona e Madrid e la risoluzione di un conflitto politico che si è lasciato incancrenire irresponsabilmente negli anni scorsi. La strada continua ad essere in salita, ma la concessione dell’indulto è un primo passo in questa direzione.
Foto di copertina EPA/Toni Albir