Rilancio economico: il necessario orizzonte europeo dell’Italia
L’eredità della crisi Covid-19 lascia l’economia italiana su livelli di Pil che saranno recuperati solo a metà 2022, al costo di un indebitamento di circa trenta punti più elevato, dal 130 al 160% del Pil. Le scelte relative alla gestione di questo debito, per la sua riduzione in prospettiva, rappresentano il principale vincolo alla evoluzione della politica economica nazionale nei prossimi anni e, per le ragioni che proveremo a chiarire, costituiscono anche l’orizzonte strategico della politica italiana nei confronti dell’Unione europea.
Nello scenario attuale di crescita reale del Paese (poco sotto l’1%di crescita annua) e con un avanzo primario sui livelli pre-Covid (tra l’1,5 ed il 2%), l’orizzonte di tassi di interesse molto bassi previsti nei prossimi anni fa sì che il debito italiano possa lentamente scendere, con un calo che tuttavia non consentirebbe una riduzione del rapporto debito/Pil sotto il 150% per tutto il prossimo decennio. Inoltre, in un contesto di politiche invariate l’evoluzione del debito resterebbe comunque sensibile ad eventi ‘avversi’ che dovessero avere un impatto sul costo del debito stesso (ossia sullo ‘spread’ italiano vs. gli altri paesi). A titolo di esempio, un aumento del costo medio del debito pubblico di appena lo 0,5% (dall’attuale 2,5%) farebbe salire il rapporto debito/Pil in maniera inesorabile, rendendo l’indebitamento insostenibile nel medio periodo.
L’attuazione del Pnrr
Rispetto a questo scenario a “politiche costanti”, vi sono due elementi che possono allentare il vincolo del debito, entrambi dipendenti da scelte strategiche dell’Italia in chiave europea. Il primo riguarda l’utilizzo degli strumenti di supporto messi a disposizione dall’Ue. Attualmente, i rischi sulla sostenibilità del debito sono in parte ridotti dalla quota detenuta dalle istituzioni europee, quota che nei prossimi anni tenderà a divenire ancora più ampia. Ciò limita significativamente i rischi di un repentino aumento del costo del debito.
Secondo stime di Banca Intesa Sanpaolo, nel 2020, a fronte di un debito pubblico lordo pari al 155,8% del Pil, il debito al netto della quota detenuta dalla Ue e dall’Eurosistema si è attestato al 111,2% del Pil. Tale quota è attesa ridursi ulteriormente nei prossimi anni, grazie anche al fatto che l’Italia ha deciso di utilizzare interamente la componente dei prestiti del Recovery Plan (122,6 miliardi).
Il secondo elemento di scelta politica riguarda l’implementazione delle riforme e degli investimenti che si stanno programmando nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano, e nei programmi di spesa ad esso collegati. Come già discusso, in assenza di un miglioramento strutturale del tasso di crescita del Paese, il rapporto debito/Pil italiano non è destinato a scendere, esponendo il Paese al rischio di un rialzo dei tassi, e più in generale ad una potenziale instabilità futura. Se l’Italia realizzasse pienamente il pacchetto di riforme e investimenti previsto nel PNRR, tuttavia, questo farebbe aumentare il tasso di crescita potenziale dell’economia italiana di 0,5 punti percentuali in forza della maggiore spesa effettuata e di circa 0,3 punti grazie alla piena attuazione delle riforme strutturali programmate. In questo scenario, l’evoluzione del rapporto debito/Pil si orienterebbe verso una decisa riduzione, con una prospettiva economica, politica e sociale del Paese decisamente più stabile.
Entrambe le scelte strategiche dell’Italia (uso degli strumenti di debito europei e piena attuazione del Pnrr) di fatto andranno ad influenzare la politica comunitaria nei prossimi anni. Innanzitutto, a partire dal 2022 si aprirà in Europa un dibattito sulla reintroduzione dei meccanismi di coordinamento della finanza pubblica (il Patto di Stabilità e Crescita) che evidentemente dovrà fare i conti con i nuovi livelli di indebitamento raggiunti dagli Stati (non solo l’Italia al 160%, ma anche Francia e Spagna in zona 120%), proponendo soluzioni che rendano i percorsi nazionali di rientro dal debito pubblico compatibili con quelli della crescita economica. A questo riguardo, si potrebbe anche aprire un dibattito rispetto ad un eventuale trattamento “differenziato” dei titoli di debito pubblico nazionali detenuti dal mercato vs. quelli detenuti dalle istituzioni europee, in prospettiva di una loro rimodulazione in chiave comunitaria. Evidentemente questo discorso riguarda in prima battuta l’Italia, che risulterà il Paese più esposto in termini di debito nei confronti delle istituzioni comunitarie.
Il futuro Ue è in Italia
A questo si lega il secondo aspetto del dibattito europeo che le scelte italiane andranno ad influenzare, ossia la possibilità di rendere in qualche modo “permanente” il meccanismo di debito volto alla gestione comune della politica fiscale inaugurato con Next Generation EU. Tale proposta di riforma ha un orizzonte di medio periodo, richiedendo la modifica dei Trattati e, probabilmente, anche qualche passaggio costituzionale all’interno degli Stati membri, ma non è al di fuori dell’orizzonte politico che si potrebbe determinare in Europa nei prossimi mesi, dopo le elezioni tedesche e francesi. Una proposta che beneficerebbe molto della spinta politica di una ripresa italiana trainata dal Recovery, perché la crescita italiana in ultima analisi avvantaggia tutti i partner europei, ma che invece si spegnerebbe sul nascere nel momento in cui l’Italia, principale beneficiario dei fondi di Next Generation, non dovesse utilizzare questa opportunità in maniera efficiente.
In questo caso si tornerebbe alla vecchia frattura tra Stati frugali e resto d’Europa, con i primi che accuserebbero i secondi dei classici vizi legati alla spesa pubblica inefficiente, con in più l’aggravante che in questo caso si tratta di risorse che in gran parte derivano direttamente dagli stessi Stati frugali. Di conseguenza la revisione del Patto di Stabilità e Crescita avrebbe luogo in un’ottica di controllo della spesa, e dunque di nuovo sotto l’egida dell’austerità, più che dello sviluppo post-pandemico, che è invece la chiave del Recovery. In questo scenario si avrebbe il chiaro rischio che l’involuzione del dibattito europeo generi nuove spinte politiche nazionaliste, e dunque un aumento dello spread sul debito italiano, che a quel punto metterebbe a rischio la sostenibilità dello stesso, con scenari molto negativi sia per l’Italia che per la stessa unità europea.
Esiste dunque uno stretto intreccio tra le scelte economiche che l’Italia sta definendo in termini di utilizzo delle risorse e implementazione delle riforme nel Pnrr e gli spazi di manovra politica che si apriranno nei prossimi mesi sul fronte dell’evoluzione del quadro comunitario, e dunque l’orizzonte di politica europea del nostro Paese. Storicamente il futuro dell’Italia è sempre stato in Europa, ma forse mai come oggi il futuro dell’Europa è in Italia.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI, dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.