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L’accordo sul nucleare

Riattivare il Jcpoa è nell’interesse di Washington e Teheran

7 Giu 2021 - Riccardo Alcaro - Riccardo Alcaro

Il nucleare iraniano rappresenta in questo momento uno dei dossier più caldi sui tavoli diplomatici internazionali. Non solo per i diretti interessati, cioè gli Stati Uniti e l’Iran, ma anche per l’Europa, a causa delle potenziali implicazioni indirette sulla stabilità e la sicurezza europee del conflitto che potrebbe innescarsi se il programma nucleare iraniano non viene riportato sotto controllo.

Il negoziato è ripreso grazie alla volontà del neo-presidente Joe Biden di rilanciare la diplomazia nucleare con l’Iran. Nel 2018, per volere dell’allora presidente Donald Trump, gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente dal Jcpoa, l’accordo stipulato con l’Iran dall’amministrazione Obama (oltre che con Europa, Cina e Russia) tre anni prima. L’uscita dall’accordo ha coinciso con la riadozione da parte degli Usa delle sanzioni contro la Repubblica Islamica, che erano state sospese in linea col Jcpoa.

Data la natura extraterritoriale di queste misure, di fatto gli Usa hanno costretto tutti gli altri Stati ad adeguarsi, dal momento che compagnie e banche di tutto il mondo messe di fronte a un aut aut: commerciare con l’Iran oppure con gli Usa. Naturalmente, data l’enorme sperequazione fra le due economie, gli americani hanno ottenuto il risultato che volevano. Anche le stesse compagnie europee, nonostante i governi dell’Ue continuassero a sostenere l’accordo, hanno dovuto lasciare l’Iran, scoprendo in un certo senso che il loro regolatore ultimo non risiede nelle capitali nazionali né a Bruxelles, ma a Washington.

Gli sviluppi dopo l’avvento di Biden
Biden ha dichiarato che, benché efficace nell’indebolire l’economia iraniana, la strategia della massima pressione non è riuscita a costringere Teheran a offrire maggiori concessioni sul fronte nucleare, né limiti al programma balistico o una moderazione delle politiche regionali di sostegno agli alleati dell’Iran.

Nei primi mesi di mandato dell’amministrazione Biden c’è stata però un po’ incertezza, derivante dal dover decidere se provare a riattivare il Jcpoa e negoziare successivamente un accordo più a lungo termine oppure se puntare direttamente su quest’ultimo.

La leadership iraniana, dopo aver visto la possibilità di un nuovo corso diplomatico, ha provato a spingere gli Stati Uniti a non ritardare il ritorno nel Jcpoa, decidendo anche – aspetto più importante e preoccupante – di ridimensionare l’accesso degli ispettori dell’Onu al suo programma nucleare.

Va detto però che a spingere l’Iran su questa strada è stata anche una campagna orchestrata da Israele tesa a complicare il riavvio di un negoziato. In tal senso vanno ricordati due episodi: l’assassinio del principale scienziato nucleare iraniano nel novembre scorso da parte di attori non identificati – ma che si pensa fossero agenti dei servizi segreti israeliani -, e poi una clamorosa esplosione nel centro per l’arricchimento dell’uranio di Natanz (l’arricchimento dell’uranio è la fase industrialmente più complicata e sensibile del programma nucleare, perché è necessario tanto per usi civili che militari).

Questi eventi non hanno però frenato il processo diplomatico. Quest’ultimo è anzi ripartito, con i membri restanti del Jcpoa (Francia, Germania, Regno Unito, Cina e Russia più l’Ue), che a Vienna trattano con gli iraniani in un hotel e con gli americani in un altro, e con gli europei che fanno da spola fra le parti.

L’hotel di Vienna che ospita i negoziati. (EPA/CHRISTIAN BRUNA)

Il nodo delle centrifughe
Tutto è legato alla creazione di una roadmap in cui gli americani e gli iraniani possano effettuare un simultaneo ritorno nel Jcpoa (i primi in maniera effettiva; i secondi, che non lo hanno mai abbandonato, tornerebbero invece all’ottemperanza). La questione principale per gli iraniani sono le sanzioni americane.

La delegazione americana ha lavorato per chiarire quali sono le sanzioni che verrebbero di nuovo sospese in linea con il Jcpoa e quali invece resterebbero in vigore. Già nel 2015, infatti, non tutte le misure erano state revocate, e Trump ne ha in seguito aggiunte moltissime.

Per quanto riguarda l’Iran, il problema non riguarda solo la questione della volontà politica di ritornare a un livello di sviluppo e attività nucleare in linea col programma, ma anche cosa fare col lascito di quelle attività che hanno ecceduto i limiti. Per fare un esempio, dopo il ritiro Usa gli iraniani hanno sviluppato una generazione più avanzata di centrifughe, i macchinari necessari ad arricchire l’uranio, proibite dal Jcpoa. Che ne sarà di queste centrifughe più avanzate? Si dovranno distruggere? Dovranno essere imballate?

In ogni caso sembra chiara la volontà di entrambe le parti di riattivare il Jcpoa. Gli americani hanno deciso che puntare a un accordo più grande subito non avrebbe funzionato, e che una pronta riattivazione del Jcpoa sia lo strumento migliore per calmare le acque e poi usare le altre sanzioni come leva sulle altre questioni.

Dal canto suo, l’Iran vede un vantaggio nell’accordo poiché ne otterrebbe dei benefici economici. La leadership iraniana cambierà però presto (il 18 giugno si tengono le presidenziali, ndr), e bisogna vedere se a Teheran ci sarà interesse a mantenere il dialogo con gli americani, e anche con l’Europa, su qualcosa che vada oltre il Jcpoa.

I limiti del calendario
L’accordo del 2015 fu concepito non solo in chiave di non proliferazione, ma anche per creare fiducia reciproca. Questa fiducia è andata in larga parte perduta. Un Jcpoa riattivato sarà comunque più debole perché, per l’Iran, i benefici economici ricevuti saranno minori rispetto a quelli promessi, mentre per gli americani e gli europei il problema della scadenza temporale oltre la quale i limiti imposti dal Jcpoa al programma nucleare iraniano cominceranno a venir meno si porrà prima di quanto originariamente previsto.

La scadenza per il venir meno dei primi limiti al programma nucleare iraniano è il 2026, il che vuol dire che ci sono solo cinque anni, invece dei dieci previsti, perché un’attuazione in buona fede dell’accordo ricrei un po’ di fiducia reciproca.

Si può quindi essere ottimisti circa la ripresa del Jcpoa. Tuttavia, oggi il potenziale trasformativo delle relazioni fra la Repubblica islamica con l’Occidente offerti da dieci anni di attuazione in buona fede dell’accordo è sensibilmente ridotto. Un’altra crisi internazionale è stata forse semplicemente solo rimandata.

Foto di copertina EPA/Iranian President’s Office