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I volti di Visegrád

Marta Lempart: l’attivista polacca che si batte per i diritti

10 Giu 2021 - Osservatorio Sociale Mitteleuropeo (Osme) - Osservatorio Sociale Mitteleuropeo (Osme)

“Come donna penso che siamo nate e cresciute per sopportare molestie di diverso tipo. Quando sei una donna, se fai qualcosa di non conforme, vieni punita (ndr)”. È quanto Marta Lempart, attivista polacca per i diritti delle donne e la democrazia ha affermato in una recente intervista. Oggi il suo è uno dei volti che maggiormente rappresentano la Polonia progressista, quella impegnata sul fronte dei diritti umani e civili e contraria alle politiche conservatrici e restrittive del PiS (Prawo i Sprawiedliwość, Diritto e Giustizia), partito guida dell’attuale governo.

Nata nel 1979 a Lwówek Śląski, una cittadina della Bassa Slesia, Marta Mirosława Lempart è la fondatrice del movimento Ogólnopolski Strajk Kobiet (Osk, Sciopero delle Donne Polacche), che guida insieme a Klementyna Suchanow. Si tratta del collettivo che il 3 ottobre 2016 ha organizzato manifestazioni in oltre 150 città polacche in segno di protesta contro la proposta di legge antiabortista e che è scesa in piazza anche nel 2018, l’anno scorso e quest’anno, per lo stesso motivo, dando luogo ad una lunga mobilitazione nazionale seguita attentamente dai media internazionali.

Le proteste contro le restrizioni all’aborto
Tali dimostrazioni hanno visto in primo piano le donne, questo è vero, ma occorre precisare che la protesta ha coinvolto molti più giovani di entrambi i sessi che in precedenti dimostrazioni pubbliche di dissenso. Tutte e tutti a protestare contro una sentenza della Corte costituzionale volta a vietare l’aborto anche in caso di malformazione del feto, inasprendo ulteriormente la già restrittiva legge esistente nel Paese dal 1993.

Le manifestazioni di massa svoltesi per i motivi appena menzionati e caratterizzati dallo slogan “To jest wojna” (Questa è la guerra), sono stati una forte risposta alle politiche governative in ambito sociale sostenute dalla Conferenza episcopale polacca. Politiche contro le quali una società civile in movimento si è mobilitata per mettere in discussione un modello sociale conservativo e battersi per l’autodeterminazione delle donne e per il loro diritto di scegliere. Marta Lempart è forse nota soprattutto per questo, ma è attiva anche sul fronte dei diritti della comunità Lgbt+, delle persone diversamente abili e dell’impegno a favore di una sanità più equa ed efficiente. Avvocata, è convinta sostenitrice della laicità e della separazione fra Stato e Chiesa.

Tra maggioranza e opposizione
Nel periodo in cui Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska, Po) è stata al potere (2007-2015), ha svolto un ruolo minore all’interno del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, impegnandosi per migliorare la situazione dei diritti delle persone diversamente abili, e si è occupata di sviluppo immobiliare. Dopo l’approdo al governo del PiS, Lempart ha iniziato a collaborare con il Comitato per la Difesa della Democrazia (Komitet Obrony Demokracij, Kod), una Ong il cui scopo è la promozione dei valori europei, in particolar modo la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani. Kod è nata nel 2015, in seguito alla crisi costituzionale scoppiata nel Paese, afferma la sua opposizione all’azione politica del PiS e proclama la sua indipendenza da qualsiasi partito politico.

Nel 2018 Marta Lempart ha partecipato, senza successo, alle elezioni locali di Breslavia e non è stata più fortunata, l’anno dopo, al voto per il rinnovo del Parlamento europeo. Attivista e punto di riferimento della società civile, è stata arrestata e denunciata più volte. Lo scorso febbraio il governo l’ha accusata di aver commesso gravi reati nel ruolo da lei ricoperto come organizzatrice e leader delle manifestazioni di protesta contro la sentenza antiabortista, di aver oltraggiato la Chiesa cattolica – definendola strumento di pressione politica sul movimento -, e di aver messo a repentaglio la sicurezza dei cittadini.

Le proteste hanno conosciuto momenti di tensione con le forze dell’ordine e sono state caratterizzate da atti provocatori nei confronti delle chiese, quindi, per tutto questo, Lempart rischia otto anni di carcere. Ha anche ricevuto minacce di morte da avversari dell’Osk; cosa che l’ha costretta a nascondersi lontano da casa sua.

“La Polonia odia le donne”
La legislazione sull’interruzione di gravidanza è stata effettivamente inasprita, e questo ha portato, negli ambienti progressisti, a sentire sempre più importante l’azione della società civile a favore della libertà di scelta delle donne. Ma secondo Lempart la Polonia odia le donne. A suo avviso, come affermato in un’intervista uscita su Left nell’agosto 2020, “In Polonia vogliono un mondo ‘perfetto’, senza donne libere e senza (ndr) persone con disabilità e omosessuali”.

La leader dell’Osk afferma che il governo polacco sta seguendo le orme di quello russo con un disegno di legge per il quale il primo atto di violenza domestica non è da considerare come tale. Per esserlo deve avvenire più volte. La Lempart fa notare che questo disegno di legge porterebbe, tra l’altro, allo smantellamento del sistema che comporta l’obbligo per qualsiasi istituzione – polizia, assistenti sociali, insegnanti ecc. – di segnalare casi di violenza domestica.

Oggi l’unico ostacolo all’adozione di questo provvedimento è la Convenzione di Istanbul dalla quale il governo, però, intenderebbe ritirarsi. Si tratta di un fatto grave, contestuale alla situazione di arretramento dei diritti umani e civili esistente in Polonia, a parere delle opposizioni partitiche e sociali. Cosa che, secondo Marta Lempart, non sarebbe avvenuta “se ci fossero stati nel Paese l’indipendenza della magistratura e il rispetto dello stato di diritto”. L’impegno continua.

Nella foto di copertina EPA/RADEK PIETRUSZKA Marta Lempart durante una protesta di piazza

Nel 30esimo anniversario dalla creazione del Gruppo di Visegrád (che abbiamo ricordato qui), AffarInternazionali cura un ciclo di approfondimenti sui volti che popolano l’universo dei quattro Paesi che fanno parte della formazione (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca), in collaborazione con l’Osservatorio sociale mitteleuropeo (Osme).