L’Algeria va al voto con la nuova Costituzione (ma ignora la piazza)
Sabato 12 giugno gli algerini sono chiamati alle urne per eleggere la nuova Camera bassa del Parlamento. Quasi 1.500 liste di candidati, di cui 646 in rappresentanza di 28 partiti politici e 837 indipendenti, si contenderanno i 407 seggi disponibili. Si tratta della prima tornata elettorale sotto la nuova Costituzione, approvata a novembre tramite referendum popolare e promulgata dal capo dello Stato Abdelmadjid Tebboune il 1° gennaio scorso.
Le elezioni saranno inoltre le prime da quando Tebboune ha assunto la carica il 12 dicembre 2019 succedendo ad Abdelaziz Bouteflika, dimessosi a seguito delle scoppio delle proteste popolari il 22 febbraio dello stesso anno.
Nel tentativo di soddisfare alcune fra le richieste del popolo algerino il governo ha approvato, lo scorso 7 marzo, una nuova legge elettorale che promuove per la prima volta nella storia del Paese la selezione dei candidati tramite un sistema a lista aperta. A ciascun partito è stato richiesto di raccogliere almeno 25.000 firme da 23 province (su 58 totali), le cosiddette wilaya, a condizione che il numero di firme da ogni provincia non fosse inferiore a 300. Inoltre, ciascuna lista di candidati dovrà essere composta per metà da donne o da individui con età inferiore ai 40 anni, mentre un terzo delle persone incluse dovrà essere in possesso di un diploma di laurea.
I partiti in corsa
L’Autorità nazionale indipendente per le elezioni (Anie) ha confermato che metà delle 1500 liste presentatesi sono legate ai partiti filo-governativi come il Fronte di Liberazione Nazionale (Fnl), il partito di maggioranza in Parlamento, ininterrottamente al potere dall’indipendenza ottenuta dalla Francia nel 1962 e da cui proviene l’attuale capo dello Stato, il Raggruppamento Nazionale Democratico (Rnd), formazione moderato nazionalista e filo governativa dell’ex primo ministro Ahmed Ouyahia e, infine, il partito nazionalista Fronte El Moustakbal.
Ad oggi, sono le formazioni islamiste che costituiscono l’incognita di queste elezioni. Si sono candidati il Movimento della società per la pace (Msp) di Abderrazak Makri (il più grande partito islamista in Parlamento) e il Fronte per la giustizia e lo sviluppo (Fgd), espressione locale della Fratellanza Musulmana, di Abdallah Djaballah.
C’è poi il movimento El Binaa, il Raggruppamento per la speranza algerina (Taj) capeggiato da Fatima Zohra Zerouati e, infine, il partito Libertà e giustizia. Per gli islamisti queste elezioni possono gettare le basi per future battaglie politiche, poiché, secondo la Costituzione approvata lo scorso novembre, il governo sarà composto dalla nuova maggioranza in Parlamento.
Hanno optato per il boicottaggio tutte le formazioni progressiste come il Fronte delle forze socialiste (Ffs), storica forza di opposizione vicina alle minoranze berbere, il Raggruppamento per la cultura e la democrazia (Rcd), partito laico di tendenza liberale e, infine, il Partito dei lavoratori (Pt), compagine di ispirazione trotzkista.
Piazza ignorata
Nonostante gli insuccessi delle elezioni presidenziali del 2019 e del referendum costituzionale del 2020, segnati entrambi da un’astensione record, il regime è andato avanti con la propria “marcia elettorale”, senza tener conto delle rivendicazioni politiche della piazza. Il movimento Hirak non ha presentato alcun candidato o alcuna piattaforma coerente, limitandosi alla volontà di boicottare le elezioni e alla protesta contro le dinamiche di voto e le personalità presentate dai partiti.
A complicare ulteriormente lo scenario elettorale in queste ultime settimane, è stata la richiesta da parte della magistratura algerina, a marzo, di arrestare alcuni partecipanti al movimento dell’Hirak. La lista includeva l’ex diplomatico Mohamed Larbi Zeitout, il fondatore di Rachad, partito islamista messo fuori legge dal governo algerino; oltre a ex attivisti del Fronte Islamico di Salvezza (Fis), i quali sono stati accusati di essersi infiltrati tra i manifestanti algerini spargendo violenza nel corso delle proteste scoppiate a febbraio 2019.
L’infiltrazione degli islamisti in un movimento di mobilitazione popolare pacifico come quello dell’Hirak può giocare a favore del governo, perché legittimerebbe la repressione delle manifestazioni e accentrare ulteriormente il proprio potere.
Incognita affluenza
Di fatto, nelle ultime settimane è continuata la repressione nei confronti di esponenti dell’opposizione. La Lega algerina per la difesa dei diritti umani (Laddh) ha dichiarato che sono stati arrestati più di duemila manifestanti. Questo atteggiamento repressivo da parte del regime ha contribuito a creare un ulteriore scollamento tra popolazione e autorità.
La credibilità di queste elezioni dipenderà ancora una volta dal tasso di partecipazione che, nel caso si rivelasse basso, evidenzierebbe il crescente disinteresse del popolo algerino per la politica nazionale e per elezioni dal risultato scontato. La probabile astensione dal voto può essere altresì letta come un segno di protesta tangibile nei confronti delle istituzioni algerine, da troppo tempo guidate dalla medesima élite.
A cura di di Anthea Favoriti, autrice della redazione Mena de Lo Spiegone
***Lo Spiegone è una testata giornalistica formata da studenti universitari e giovani professionisti provenienti da tutta Italia e sparsi per il mondo con l’obiettivo di spiegare con chiarezza le dinamiche che l’informazione di massa tralascia quando riporta le notizie legate alle relazioni internazionali, della politica e dell’economia.