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La decisione della Usccb

I vescovi Usa pensano a un rinvio pilatesco sulla comunione a Biden

11 Giu 2021 - Pietro Mattonai - Pietro Mattonai

C’è una guerra di secessione americana nella Conferenza episcopale statunitense. E il motivo – almeno, il principale – sta tutto in un passaggio della lettera del cardinale Luis Ladaria. “Sarebbe sbagliato”, ha scritto il prefetto della congregazione della Dottrina della fede, “se venisse data l’impressione che soltanto l’aborto e l’eutanasia costituiscano le uniche, gravi questioni della dottrina morale e sociale cattolica che richiedono il più alto livello di responsabilità da parte dei cattolici”.

L’aborto e l’eutanasia, temi che rompono l’unità della comunità cattolica statunitense, saranno oggetto di discussione proprio dei vescovi americani durante la prossima assemblea, che si terrà dal 16 al 18 giugno. Sia chiaro: interruzione di gravidanza e fine vita sono ormai da decenni all’ordine del giorno per la United States Conference of Catholic Bishops (Usccb). Ciò che è nuovo – ma non troppo – è il voto che l’Usccb esprimerà sulla “dignità di ricevere la comunione” per i politici cattolici favorevoli all’aborto – come il presidente Joe Biden –, elevandola ufficialmente a questione preminente per la dottrina cattolica.

Durante il suo pontificato, papa Francesco si è interessato poco di temi centrali per il cattolicesimo a stelle e strisce dalle marcate contaminazioni evangeliche e puritane. Alla morale sessuale ha anteposto l’opzione preferenziale per i poveri; alla bioetica, la tutela dell’ambiente e i diritti umani. Negli Stati Uniti, dopo un primo, fugace innamoramento verso il Papa che viene dalla fine del mondo, il messaggio pastorale di Bergoglio ha causato divisioni e discordie, che hanno ingrossato le fila dell’esercito delle decennali culture wars, le battaglie per conquistare – e purificare – l’anima del Paese.

Trump e le “perpetual culture wars”
Il giornalista statunitense Michael Grunwald, in un suo articolo per Politico, ha spiegato come l’ex presidente Donald Trump abbia sperimentato un nuovo modo di fare politica: le perpetual culture wars, le “guerre culturali perpetue”. Una strategia, secondo Grunwald, volta a mobilitare e compattare la sua base elettorale sul principio us-against-them, “noi-contro-loro”.

E nonostante a gennaio Trump abbia dovuto abbandonare la presidenza dopo un solo mandato, alcuni segnali fanno capire che quella strategia, almeno in parte, ha funzionato. Innanzitutto, tra le elezioni del 2016 contro Hillary Clinton e quelle più recenti contro Biden, Trump ha guadagnato più di undici milioni di voti. Più di quanto riuscì a fare Ronald Reagan tra il 1980 e il 1984, quando ottenne uno dei successi elettorali più eclatanti di sempre. Inoltre, il Partito repubblicano rimane saldamente nelle sue mani. Senza dimenticare, infine, un recente sondaggio a cura di YouGov e del The Economist che ha chiesto ad alcuni elettori repubblicani di indicare i colpevoli delle violenze accadute lo scorso 6 gennaio a Washington. Oltre il 50% di essi, infatti, ha accusato o il Partito democratico o il movimento Antifa. Insomma: la strategia us-against-them paga.

I cattolici americani non sono immuni a tutto questo. Stravolta e sul piede di guerra dagli irrequieti anni Sessanta e Settanta, la frangia più conservatrice della comunità cattolica ha fatto proprie le categorie della politica di Trump, irrigidendo le proprie posizioni in tema di aborto, bioetica e morale sessuale. Chi ha votato per il candidato repubblicano nel 2016, difficilmente ha cambiato idea nel 2020. Di fronte al pluri-divorziato e autoproclamato reborn Christian Trump e al cattolico Biden, quasi la metà dei cattolici ha scelto ancora una volta il primo, che ha sposato la causa anti-abortista quale primo presidente statunitense a partecipare alla March for Life. A differenza di Biden, che nella sua lunga carriera ha sempre distinto tra la sua fede e l’agone politico, dichiarandosi favorevole all’aborto.

Una secessione americana
La posizione pro-choice di un politico cattolico non è una novità negli Stati Uniti. Da candidato democratico alla Casa bianca, John Kerry dovette affrontare lo stesso fuoco incrociato nel 2004. All’epoca, però, il trumpismo non aveva ancora spezzato in due l’America. Per questo, la discussione interna all’Usccb si risolse con due soli voti favorevoli – su 185 – all’adozione di una linea intransigente.

Oggi, la situazione è completamente cambiata: il democratico pro-choice, a differenza di Kerry, ha vinto le elezioni ed è il nuovo presidente statunitense; inoltre, stavolta, le fratture profonde nel Paese e nella comunità cattolica fanno immaginare un esito ben più in bilico rispetto a 17 anni fa.

Già il 20 gennaio, mentre Biden giurava su una Bibbia in possesso della sua famiglia dal 1893, il presidente dell’Usccb José Horacio Gomez, vescovo di Los Angeles, indirizzava una lettera proprio al nuovo presidente, incriminato di sostenere “certe politiche” che “promuoverebbero mali morali e minaccerebbero la vita umana e la dignità”, in particolare per quanto riguarda “l’aborto, la contraccezione, il matrimonio e il gender”. La replica immediata di Blase Cupich, arcivescovo di Chicago dal 2014, e nominato cardinale da Francesco in concistoro due anni più tardi, conferma la spaccatura interna alla comunità cattolica.

Rinviare la conta
Anche per questo, nel tentativo di salvaguardare l’unità e di rimandare il discorso a tempi migliori, alcuni vescovi e cardinali statunitensi avrebbero richiesto di depennare il voto dall’ordine del giorno. Secondo la testata on-line di matrice cattolica The Pillar, 47 vescovi – tra i quali cinque cardinali – avrebbero richiesto al presidente Gomez di rinviare il dibattito sulla “dignità di ricevere la comunione” alla prossima riunione di novembre che, a differenza di quella di giugno, dovrebbe avvenire in presenza. Il tutto mentre Joe Biden ha appena intrapreso il suo tour europeo.

Il voto della prossima settimana, dunque, servirà soltanto a dare una traduzione numerica alla secessione americana in corso. Anche in caso di un parere favorevole dell’Usccb, i (molti) voti contrari aprirebbero scenari inesplorati. Non per il prefetto Ladara, però: il voto, ha scritto nella sua lettera, “potrebbe divenire una fonte di discordia anziché di unità all’interno dell’episcopato e la più ampia Chiesa negli Stati Uniti”. Il papa americano rischia di perdere l’America.