IAI
Trent'anni dalle crisi jugoslave

I Balcani occidentali e la ricerca dell’autonomia strategica europea

30 Giu 2021 - Matteo Bonomi - Matteo Bonomi

C’è oggi il pericolo che la finestra di opportunità per procedere verso l’unificazione politica e territoriale dell’Europa, almeno così come era stata concepita dalla prima generazione di leader europei dopo la fine della Guerra Fredda, si chiuda nei Balcani occidentali. Nonostante gli obiettivi dichiarati della politica Ue di allargamento, la pandemia si è venuta a sommare ad una serie di crisi che stavano già contribuendo a cementare resistenze all’interno dell’Unione verso possibili futuri allargamenti. Di conseguenza, sembra che l’Ue stia perdendo gran parte della sua capacità di plasmare le dinamiche geostrategiche in questa regione. Tutto ciò rafforza l’urgenza di cercare modi per rafforzare la posizione di Bruxelles nei Balcani e per portare quella che una volta era considerata la sua politica estera di maggior successo, l’allargamento, in una nuova era di realismo politico.

Il dibattito in corso sull’autonomia strategica europea offre una cornice di riflessione importante attraverso la quale un nuovo studio dello IAI, finanziato dal ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale e dalla Compagnia di San Paolo, analizza proprio la penisola balcanica. Il nuovo dibattito strategico europeo, infatti, offre l’opportunità per valutare sia lo stato di avanzamento che i limiti delle attuali cooperazioni tra l’UE e i Paesi dei Balcani, oltre che per verificare le ambizioni dell’Ue di affermarsi efficacemente come attore strategicamente autonomo negli anni a venire.

Le crisi jugoslave e “l’ora dell’Europa”
La ricerca dell’autonomia strategica, di cui si parla oggi, è iniziata proprio trent’anni fa, di fronte allo scoppio delle crisi jugoslave nel giugno 1991. Allora, le ambizioni europee erano state fissate dal ministro degli Esteri lussemburghese, Jacques Poos, che chiamato a mediare a nome della Comunità economica europea aveva decretato che fosse giunta “l’ora dell’Europa” nel risolvere i problemi jugoslavi, per poi essere brutalmente smentito dal propagarsi delle guerre nella regione.

Dall’inadeguatezza delle risposte di allora derivano anche molti dei problemi di oggi nei Balcani. Il fatto che l’Ue non abbia saputo rispondere agli eventi degli anni ‘90, ha lasciato ad altri attori internazionali il compito di occuparsi delle difficili questioni di sicurezza legate alla dissoluzione della Jugoslavia. Tutto ciò si riflette nell’odierna frammentazione e nella forte permeabilità agli attori esterni di questa parte d’Europa. Inoltre, queste tendenze sono state ulteriormente rafforzate dallo scoppio della pandemia. Le esitazioni dell’Ue a rendere i Balcani occidentali pienamente parte della risposta europea a quest’ultima sono state dannose per la fiducia reciproca e hanno certamente stonato con le reiterate promesse di adesione.

Integrazione economica regionale
Di fronte a questo impasse, un ruolo centrale tra le priorità attuali è senza dubbio occupato dai più recenti piani di integrazione economica regionale nei Balcani occidentali, che saranno al centro del prossimo summit del processo di Berlino. La debolezza del processo di allargamento ha rafforzato l’importanza della cooperazione regionale come mezzo per favorire la stabilità e la crescita. A questo proposito, l’iniziativa per istituire un mercato regionale comune, sostenuta da tutti i sei leader dei Balcani occidentali e strutturata intorno alle quattro libertà di circolazione (beni, servizi, capitali e persone), mostra sicuramente delle potenzialità. L’iniziativa non intende solo affrontare le esigenze immediate di rilancio post-pandemico delle economie della regione, ma anche promuovere le priorità di lungo termine quali l’allineamento con gli standard normativi dell’UE e la diversificazione delle catene europee di approvvigionamento.

Allo stesso tempo però, bisogna rimanere estremamente cauti riguardo le possibili aspettative. I limiti e le indecisioni che oggi caratterizzano le relazioni UE-Balcani difficilmente potranno essere superate da questo tipo di strategia. L’integrazione economica regionale tra i Balcani occidentali, che è certamente rilevante, non ha il peso sufficiente per essere un punto di svolta né per lo sviluppo economico né per il consolidamento politico della regione.

In altri termini, un approccio molto più deciso da parte della leadership dell’Ue – sia delle istituzioni di Bruxelles, ma anche di alcuni stati membri – rimane indispensabile per portare avanti i programmi di riforma e spingere verso la democrazia, lo sviluppo economico e la sicurezza nella regione. Inoltre, qualsiasi strategia dell’Ue nei confronti della regione non può evitare un approccio più realistico nei confronti delle tendenze socioeconomiche nei Balcani, che indicano inesorabilmente un indebolimento della resilienza della società e dello Stato. La ricerca dell’autonomia strategica Ue nei Balcani occidentali è destinata a fallire senza risorse finanziarie adeguate, che fino ad oggi sono state trovate solo in parte.

Se c’è quindi un messaggio che emerge dallo studio IAI è che il fattore più cruciale che lavora contro l’Ue nei Balcani occidentali è il tempo. L’Ue e i suoi Stati membri, a partire dall’Italia, dovrebbero esercitare il loro pieno peso politico ed economico per portare avanti l’agenda di integrazione europea della regione in questo momento, mentre possono, piuttosto di aspettare un domani nel quale la leva europea nei confronti della regione potrebbe risultare seriamente indebolita.