Dopo le regionali, la destra neogollista punta gli occhi sull’Eliseo
PARIGI. Questa settimana – tra il primo e il secondo turno delle regionali francesi – l’attenzione si concentra su tre situazioni particolari: Île-de-France, Hauts-de-France e Provence-Alpes-Côte d’azur (Paca).
Nel primo di questi casi, la regione parigina, il Rassemblement national di Marine Le Pen è tradizionalmente debole. Stavolta deve accontentarsi di un modesto 13,12%. Qui lo scontro ha il profumo della nostalgia, trattandosi della classica battaglia frontale destra-sinistra. La lista della candidata neogollista, la presidente uscente Valérie Pécresse, forte del 36% al primo turno, è favorita sulle tre liste di sinistra (Verdi, Partito socialista e France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon), che si sono fuse e che dispongono sulla carta di poco oltre il 34%. I difficili rapporti a sinistra e le perplessità di molti elettori verso Mélenchon favoriscono Pécresse.
Diversa è la situazione nel Paca, dove va in onda un film dal titolo “Tutti insieme per sbarrare la strada all’estrema destra“. Alle presidenziali del 2017 il beneficiario di questa logica fu Emmanuel Macron. Nel Paca potrebbe beneficiarne il presidente regionale uscente: il gollista Renaud Muselier, che al primo turno ha avuto il 31,91% contro il 36,38% dell’ex gollista, oggi lepenista, Thierry Mariani. La sinistra ha le ossa rotte nella regione che ha per capoluogo Marsiglia. La lista unitaria di sinistra, che ha dovuto accontentarsi del 16,89%, si è ritirata per non favorire Mariani e dunque non ci sarà neanche un rappresentante verde-rosa-rosso nel prossimo Consiglio regionale, così come – esattamente per lo stesso motivo – non ce n’era neanche uno nel Consiglio uscente negli Hauts-de-France.
Quest’ultima regione è una sorta di connubio tra i due casi appena visti. Nel 2015, lo scenario è stato il “Tutti insieme per sbarrare la strada all’estrema destra”. L’allora membro del partito neogollista dei Républicains, Xavier Bertrand, è stato eletto a seguito del ritiro dei socialisti, in seguito al quale in questi anni non c’è stato neanche un solo rappresentante delle sinistra nel Consiglio regionale. Ma adesso Bertrand è andato molto bene (41,39%) e al secondo turno non teme dalla lista lepenista (24,37%). La lista unitaria verde-rosa-rossa (che ha avuto un ben modesto 18,99%) resta in competizione e cerca improbabili rivincite in quella che sarà una sfida a tre.
Il sentiero dei Républicains
I commenti della stampa francese evidenziano il nesso tra queste regionali e le presidenziali della prossima primavera. Si parla molto di Bertrand, 56 anni, che ha lasciato nel 2017 il partito neogollista (in polemica con lo spostamento a destra dell’asse politico di quest’ultimo), ma che non si è fatto sedurre dalle sirene macroniste così come è accaduto a molti altri ex Républicains. Come riferisce Michel Barnier, il partito neogollista ha deciso le regole per la prossima candidatura presidenziale: per partecipare alla selezione non occorre avere la tessera, ma bisogna firmare una sorta di “carta dei valori”. Poi ci sarà qualcosa di simile a un sondaggio tra gli elettori del centrodestra (con un campione di 15-20 mila persone) e infine ci sarà una scelta che sarà forse confermata da primarie, a quel punto sterilizzate da ogni rischio di reale spaccatura interna.
I più accreditati “candidati alla candidatura” della destra storica sono due presidenti regionali uscenti e presumibilmente rientranti: Xavier Betrand, per l’appunto, che impersona l’anima moderata-europeista, da una parte, e Laurent Wauquiez, che al primo turno ha avuto il 43,79% nella regione di Lione (Auvergne-Rhône-Alpes), che esprime una destra più “dura” e perplessa nei confronti di Bruxelles.
Rischio astensione
Nel caso di impasse tra questi due candidati potrebbe rafforzarsi un’ipotesi di compromesso come quella di Valérie Pecresse. Resta da capire se un aspetto fondamentale di questa prima tornata amministrativa – la fortissima astensione – sia destinata a caratterizzare e a condizionare anche le presidenziali del 2022. Probabilmente no e comunque non in una misura così rilevante.
L’opinione pubblica sottovaluta spesso le elezioni amministrative perché concentra la propria attenzione proprio sulle presidenziali, considerate come il vero momento chiave della fisiologia democratica nazionale. Se a questo si aggiungono le conseguenze della pandemia e una generale perplessità sul funzionamento delle istituzioni, il risultato è quello che si è visto domenica scorsa, quando solo un elettore su tre si è recato alle urne.
Nella foto di copertina, Emmanuel Macron esce dal seggio dopo il voto