Confermata la condanna di Mladić: la negazione del genocidio non è più un’opzione
Dopo un quarto di secolo, la condanna definitiva del generale serbo-bosniaco Ratko Mladić pronunciata ieri a L’Aia va considerata come una vittoria – seppur tardiva – della giustizia sulla violenza più efferata, un passo significativo per la guarigione dell’ex Jugoslavia e soprattutto per i sopravvissuti che vivono ancora nell’ombra del ricordo del massacro perpetrato a Srebrenica. Tra l’11 e il 19 luglio del 1995, le forze serbo-bosniache, sotto il comando del generale Mladić, giustiziarono più di 8mila uomini e ragazzi musulmani e forzarono altre 25mila donne, bambini e anziani a lasciare le loro case, ma non prima di aver commesso atti di violenza contro numerose donne e ragazze.
Questi atti erano volti a sterminare una parte della popolazione presente sul territorio. In questo senso, tale massacro è stato giudicato un genocidio dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Icty) nel 2004. In seguito, tale constatazione è stata riaffermata dalla Corte internazionale di giustizia nel 2007 e nuovamente ribadita con la condanna del generale Mladić nel 2017, confermata oggi.
Non c’è Pace Senza Giustizia ha costantemente chiesto che le porte dell’Icty rimanessero aperte fino a quando il generale Mladić non sarebbe stato portato davanti al Tribunale per rispondere alle accuse rivolte a suo carico. Fare altrimenti sarebbe stato un affronto alla memoria delle migliaia di vittime che, ancora oggi, attendono che venga fatta giustizia per i crimini commessi a Srebrenica nel luglio 1995. Non possiamo che applaudire alla determinazione di tutti coloro che hanno lavorato duramente per vedere arrivare questo giorno e che hanno impiegato mezzi politici e diplomatici per assicurare la cooperazione della Serbia con il Tribunale, compreso il procuratore del Tribunale, gli Stati e i membri della società civile nell’ex Jugoslavia e nel mondo. Non era scontato – non lo è mai -, ma oggi la loro determinazione ha dato i suoi frutti, in modo definitivo e vincolante.
Ormai, con questa decisione di giustizia, non si può più negare la tragedia disumana di ciò che è stato fatto a Srebrenica e altrove in Bosnia-Erzegovina durante quei giorni bui. Per le vittime di Foca, Prijedor e altrove, è difficile capire come la stessa impresa criminale abbia avuto intenti genocidi per Srebrenica, ma non per loro, visto il modo in cui le uccisioni, le detenzioni, tutti gli atti disumani e gli altri crimini che sono stati commessi in quei luoghi. Seguendo questo ragionamento, oggi sono sicuramente finiti i giorni in cui viene negato il ruolo giocato dal generale Mladić. Oggi quest’ultimo, dopo un processo in cui la sua capacità di difendersi è stata rispettata e facilitata, viene condannato con le accuse di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, commessi non solo a Srebrenica.
Oggi, mentre onoriamo la memoria delle vittime di Srebrenica, della Bosnia-Erzegovina e di innumerevoli altri atti di violenza nel mondo, possiamo affermare con più fiducia che sicuramente, anche se lentamente, la giustizia può trionfare sulla violenza. Meglio tardi che mai, innanzitutto: nonostante la lentezza dei tempi di giudizio e le numerose difficoltà incontrate, la sentenza definitiva pronunciata contro Mladić dimostra che la giustizia penale internazionale non è solo possibile in teoria, ma anche in pratica e rappresenta un monito fortissimo per coloro che, in posizioni di potere, pensano di poter commettere crimini simili contando su una totale impunità. Nonostante l’ostruzionismo e tutti gli ostacoli che chi gode del potere acquisito con la violenza può frapporle, la voce delle vittime può emergere dal rumore della propaganda e del revisionismo e fare sì che chi si è macchiato del loro sangue debba rendere conto delle sue azioni di fronte al mondo.
La sola memoria dei crimini contro l’umanità, genocidi e altre atrocità, come quella di Srebrenica, non impedirà che queste tragedie non si verifichino ancora in futuro. Ciò non significa che il ricordo delle atrocità passate non sia fondamentale, perché permette di riflettere, di onorare i morti, di celebrare ciò che ci unisce e di lavorare per superare le divergenze. Ma tale memoria viene ancor più rafforzata se i fuggitivi vengono catturati e portati davanti a una corte per rispondere delle loro azioni. La giustizia penale internazionale aiuta nel processo di ricostruzione in seguito a tali atrocità.
Il successo della giustizia penale internazionale nei tribunali istituiti a seguito di massacri, conflitti e altre atrocità, come il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, ha contribuito all’istituzione della Corte penale internazionale (Cpi), che lavora per perseguire coloro che sono colpevoli di crimini internazionali, anche chiamati crimini contro la pace, quali crimini contro l’umanità, crimini di guerra, genocidio e crimini di aggressione. La Corte, a differenza dei tribunali ad hoc, non ha una limitazione di spazio o di tempo, motivo per cui ha il potenziale di essere attivata come strumento per perseguire tutti i crimini internazionali.
Che i Mladić di oggi prendano nota e si sentano meno forti e meno certi di farla franca, ovunque essi operino, che altre vittime abbiano speranza e che altre istituzioni incaricate di fornire giustizia e riparazione agiscano.
Foto di copertina EPA/ANDREJ CUKIC