IAI
Cara AI Ti Scrivo

Una nuova politica sulle nascite per trainare la crescita della Cina

7 Giu 2021 - Michelle Cabula - Michelle Cabula

Fino all’anno scorso, in Cina, violare la restrizione sulle nascite che imponeva un massimo di due figli per coppia poteva significare incorrere in una sanzione di 130.000 yuan (20.440 dollari). Da poco più di una settimana, invece, tutte le coppie sposate sono autorizzate – ed anche incoraggiate – ad avere fino a tre figli.

Questo è che ciò che emerge dall’incontro del Politburo, il massimo organo decisionale del Partito comunista cinese, presieduto dal presidente Xi Jinping. Secondo le autorità sanitarie, la nuova politica sulle nascite è destinata a “massimizzare il ruolo della popolazione nel trainare la crescita economica e sociale e far fronte ai rischi di una tendenza decrescente della fertilità” nel Paese più popoloso al mondo.

Già ad aprile, un documento rilasciato dalla Banca centrale aveva lasciato intravedere un possibile cambiamento in questa direzione: quattro ricercatori della Banca popolare cinese avevano espresso l’urgenza di “liberalizzare pienamente ed incoraggiare le nascite” per evitare che gli squilibri demografici si trasformino in uno svantaggio economico per la Cina nei confronti di altri attori, quali India e Stati Uniti. Il settimo censimento nazionale ha poi confermato l’allarmante tendenza: secondo i dati pubblicati lo scorso 11 maggio, il segmento di popolazione over-60, destinato a crescere entro il 2025, costituisce attualmente ben il 18,7% del totale, mentre il tasso di crescita demografica è il più basso dagli anni ’50.

La fascia di popolazione attiva, sempre più ridotta e numericamente insufficiente per soddisfare la richiesta di forza-lavoro, sarebbe quindi destinata farsi carico di circa 264 milioni di anziani, mettendo così sotto pressione il sistema pensionistico statale.

Reazioni contrastanti
L’annuncio, non totalmente inaspettato, ha suscitato reazioni contrastanti. In un sondaggio – successivamente rimosso – condotto sull’account Weibo dell’agenzia di stampa cinese Xinhua, circa 29mila dei 31mila dei rispondenti hanno affermato di non avere intenzione di approfittare dell’allentamento delle restrizioni per allargare la propria famiglia, lamentando i costi eccessivamente elevati che crescere un figlio nella Cina di oggi comporta.

Diversi esperti si sono detti scettici riguardo l’effettiva efficacia della nuova proposta, ricordando gli scarsi risultati prodotti da simili politiche in passato. Risale al 2015 la decisione – entrata in vigore l’anno seguente – che apriva alla possibilità per le famiglie di mettere al mondo un secondo figlio, sancendo così la fine della controversa politica del figlio unico introdotta da Deng Xiaoping nel 1979. Tuttavia, come dimostra un recente studio della Zhejiang University e della Beijing Normal University, la politica sembrerebbe essere stata recepita principalmente dalle famiglie più abbienti con un figlio, le quali hanno potuto farsi carico delle spese aggiuntive derivanti dall’arrivo dei secondogeniti. La misura del 2015 non è stata però sufficiente a fermare il crollo tasso di natalità, che al 2020 registrava una diminuzione del 15% rispetto all’anno precedente.

Shuang Ding, capo economista alla Standard Centered di Hong Kong, ha dichiarato in un’intervista con Reuters che la decisione di estendere il limite a tre figli rappresenta “senza dubbio un passo nella giusta direzione”, anche se ancora lontano da poter avere un impatto rilevante; una politica tardiva che sarebbe dovuta essere implementata almeno cinque anni fa, “anche se meglio tardi che mai”. Dall’altra parte, c’è chi ritiene che avere un solo figlio o non averne sia ormai divenuto una norma sociale in Cina e che dunque il semplice rilassamento delle politiche restrittive di per sé non darà luogo a significativi cambiamenti dal punto di vista delle nascite.

Le altre misure
Le autorità cinesi hanno assicurato, senza però fornire dettagli specifici, che la nuova politica sarà affiancata da un pacchetto di incentivi volti a contenere i costi educativi e abitativi, a introdurre agevolazioni fiscali e ad assicurare un’adeguata tutela legale alle donne lavoratrici. Inoltre, è stato annunciato che l’età pensionabile – ad oggi, 60 anni per gli uomini e 50 per le donne – verrà gradualmente innalzata, mentre nuovi fondi verranno stanziati allo scopo rafforzare l’offerta di servizi per gli anziani.

La decisione riflette la consapevolezza di Pechino del potenziale rischio che la crisi demografica si trasformi in un ostacolo insormontabile per la crescita della seconda economia al mondo. L’attuale crisi demografica minaccia infatti le fondamenta della nuova strategia di sviluppo cinese che mira a completare la transizione del Paese da “fabbrica del mondo” a polo dell’innovazione con una economia basata su consumi, servizi e produzione di beni dall’alto valore aggiunto.

L’efficacia delle nuove politiche per la natalità si vedrà solo nella fase di implementazione (la cui data di avvio non è stata ancora resa nota) e molto dipenderà da come norme ed incentivi saranno applicati dai funzionari pubblici, i quali storicamente giocano un ruolo determinante per l’attuazione delle politiche nazionali a livello locale. Allo stesso tempo, molto dipenderà da come la popolazione recepirà una scelta politica che, come titolava un articolo del 2018 del Quotidiano del Popolo, fa del parto, ancora una volta, “non solo un affare di famiglia, ma anche una questione nazionale”.

***

“Cara AI Ti Scrivo” è la rubrica che offre ai più giovani (studenti, laureandi, neolaureati e stagisti) la possibilità di cimentarsi con analisi e commenti sulla politica internazionale. Mandateci le vostre proposte: affarinternazionali@iai.it.