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A est di Pechino: le mosse green della Corea del Sud

20 Giu 2021 - Virginia Remondino - Virginia Remondino

Il 2021 segna una congiuntura chiave per l’azione climatica a livello globale, una chiara opportunità per rilanciare l’economia in modo sostenibile nell’era post-pandemica. Molti, compresi Ue e Usa, guardano ad oriente con speciale interesse. La Cina in particolar modo rimane in testa alla classifica per emissioni di CO2 in termini assoluti (nel 2019, circa il 27%), un trend che, nonostante il crollo temporaneo della pandemia, è già tornato a crescere.

Naturalmente non è sola, in un continente, quello asiatico, che conta molti tra i maggiori emettitori a livello globale (India, Indonesia, Giappone, Corea del Sud) e fatica a decarbonizzare la propria crescita economica. In questo scenario, la Corea del Sud rappresenta un caso interessante. Sotto lo slogan “Green We Go, Change We Make”, usato al recente Partnering for Green Growth and the Global Goals 2030 (P4G) Summit a Seul, il governo di Moon Jae-in sta infatti cercando di farsi spazio come green leader. Un cammino difficile, ma che potrebbe anche positivamente influenzare le principali potenze regionali, a partire proprio dalla Cina e dal Giappone. 

La visione di Moon Jae-in
Il P4G Summit, ospitato dal governo sudcoreano a fine maggio, è stato l’occasione per il presidente Moon di reiterare le promesse avanzate durante il vertice climatico organizzato lo scorso aprile dal Presidente Usa Joe Biden, ovvero l’impegno della Corea del Sud al raggiungimento delle zero emissioni nette entro il 2050. La Corea cercherà di sfruttare l’innovazione verde e le proprie evolute tecnologie digitali per creare sinergie tra il Green New Deal e il Digital New Deal, i due pilastri principali del New Deal coreano.

Il taglio netto delle emissioni attraverso la decarbonizzazione dell’industria nazionale costituisce l’obiettivo primario del piano di ripresa coreano. L’eliminazione graduale delle centrali a carbone – o la loro conversione – e l’impostazione di un percorso credibile nel medio termine richiedono in primis una drastica accelerazione delle tecnologie pulite. La Corea punta infatti ad investimenti in fonti low-carbon anche tramite la creazione di partnership pubblico-private capaci di incentivare la ricerca e lo sviluppo nel settore delle energie rinnovabili. Nello specifico, il Paese ha intenzione di impegnare circa 61 miliardi di dollari in cinque anni (2020-25) per aumentare la capacità di energia rinnovabile a 42,7 GW entro il 2025 (da 12,7 GW nel 2019) ed espandere la flotta di mobilità verde a 1,33 milioni di veicoli elettrici e a idrogeno.

Non sarà facile. In realtà, il successo economico della nazione negli ultimi decenni, che l’ha trasformata da Paese in via di sviluppo in una potenza economica significativa, è stato guidato principalmente dalle industrie ad alta intensità energetica (alimentate in gran parte dal carbone). In aggiunta, la principale fonte nazionale di energia a basse emissioni di carbonio rimane il nucleare (da cui deriva il 10% dell’energia destinata al consumo nazionale), mentre le rinnovabili rivestono ancora un ruolo marginale (3% del consumo di energia primaria). 

Costruire credibilità
Solo pochi mesi prima del P4G, in ogni caso, Moon aveva promesso di fermare il finanziamento statale delle centrali a carbone all’estero. A sostegno di tale intenzione, il National Pension Service della Corea del Sud – terzo fondo pensione più grande del mondo – ha annunciato la volontà di non investire in alcun progetto per nuove centrali a carbone in patria e all’estero, in linea con gli sforzi globali per ridurre le emissioni di carbonio. Passi importanti per uno Stato che è il quarto più grande importatore di carbone al mondo e il terzo più grande sovvenzionatore in progetti di carbone all’estero (secondo Greenpeace circa 5,7 miliardi di dollari investiti da agenzie finanziarie pubbliche tra il mese di gennaio 2013 e il mese di agosto 2019, per una capacità di 7 GW).  Sul carbone sarà osservata speciale anche la Kepco – la più grande società elettrica coreana a maggioranza statale.

Il P4G Summit ha rappresentato anche l’occasione per Seul di svelare nuove ambizioni, tra cui la creazione di un fondo di 5 milioni di dollari riservato alla transizione energetica dei paesi in via di sviluppo. L’intenzione, come ricordato dal Ppesidente Moon al Summit, è che la Corea faccia da ponte tra i paesi avanzati e quelli in via di sviluppo per rafforzare la solidarietà e la cooperazione internazionale su questi temi.

Oltre la COP26
Il summit si è concluso con l’adozione della Dichiarazione di Seul, sottoscritta dai principali leader mondiali, tra cui l’inviato speciale americano per il clima John Kerry, il ministro giapponese per l’Ambiente Koizumi Shinjiro e il premier cinese Li Keqiang. Il sintetico testo evidenzia gli ambiziosi obiettivi dell’Accordo di Parigi, citando esplicitamente la promozione dell’uso di idrogeno verde, l’accelerazione verso le energie rinnovabili, la prevenzione della desertificazione e la salvaguardia dagli habitat marini.

Significativa a questo proposito è anche la partecipazione della Corea del Sud come nazione osservatrice al vertice G7 riunitosi una settimana fa in Cornovaglia, che Seul potrà sfruttare per consolidare la propria presenza globale in vista della COP26 (a Glasgow, il prossimo novembre). Se da una parte il 2021 ci aiuterà a capire quale sarà la direzione intrapresa dalle principali potenze mondiali soprattutto tramite i propri piani di ripresa, anche gli anni a venire sono molto importanti.

Il 2023 vedrà in primis il concretizzarsi del primo Global Stocktake, il processo di revisione che valuta l’azione climatica portata avanti finora dal 2015, anno degli accordi di Parigi. Il piano di rilancio coreano, se adeguatamente implementato, potrà in primis contribuire favorevolmente a questa valutazione, fornendo altresì un modello per le vicine potenze regioni, soprattutto nella roadmap sul carbone.

EPA/Hollie Adams / POOL

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