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Osservatorio IAI/ISPI

Per un impegno dell’Italia nella Conferenza sul futuro dell’Europa

7 Mag 2021 - Nicoletta Pirozzi - Nicoletta Pirozzi

Il prossimo 9 maggio, in coincidenza con la Festa dell’Europa e con l’anniversario della Dichiarazione Schuman, sarà finalmente lanciata la Conferenza sul futuro dell’Europa. Si parte con un anno esatto di ritardo: la Conferenza è stata vittima dello scoppio della pandemia, ma anche di una battaglia interistituzionale che ha visto contrapposti Parlamento europeo e Stati membri sul nome del suo presidente, sui tempi dell’esercizio e sui risultati attesi.

Intesa come uno spazio pubblico di dibattito per i cittadini europei, e in particolare per i giovani, sull’Unione del futuro e sulle sue priorità, la Conferenza prevede una serie di eventi, sia fisici che online, su una piattaforma digitale multilingue e interattiva. Un grande esercizio di democrazia, che però rischia di diventare un boomerang per l’Unione se non saranno sciolti alcuni nodi.

In cosa consiste
La questione della governance è stata risolta, anche se è servito un compromesso al ribasso su una presidenza condivisa tra Commissione, Parlamento europeo e la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue. La gestione è affidata ad un comitato esecutivo formato da 9 membri rappresentanti delle istituzioni coinvolte più fino a 4 membri osservatori, che per di più dovrà decidere consensualmente. I lavori dovrebbero concludersi entro la primavera del 2022, sotto presidenza francese: un tempo giudicato insufficiente dal Parlamento europeo, che avrebbe preferito continuare fino alle prossime elezioni europee del 2024. 

Ma soprattutto non c’è certezza su quali dovrebbero essere i frutti concreti della Conferenza: i risultati saranno raccolti da una plenaria e confluiranno in un rapporto ai presidenti, che dovranno decidere come darvi seguito, ciascuno nella propria sfera di competenza. Il Consiglio, per parte sua, ha categoricamente escluso che la Conferenza possa portare ad una revisione dei Trattati.

Alla luce di tutto questo, ha senso per l’Italia considerare la Conferenza come un’opportunità e investire capitale politico nella sua realizzazione? Sì, per almeno tre motivi.

Dialogo costruttivo
Il primo ha a che fare con la necessità di creare uno spazio pubblico nel quale i cittadini possano esprimere le proprie aspettative e preferenze rispetto agli obiettivi del processo di integrazione e alle politiche europee. Nell’ultimo ventennio, successive crisi hanno avuto un forte impatto sulla percezione di sicurezza, sul benessere economico e sulla visione identitaria degli europei. E quasi sempre queste crisi sono state affrontate con un approccio tecnocratico oppure al chiuso di stanze riservate agli esecutivi nazionali. Dopo l’esperienza drammatica della pandemia di Covid-19, è arrivato il tempo di aprire le porte delle istituzioni, ascoltare i cittadini e farli sentire protagonisti della costruzione europea. 

La sfida è incanalare le spinte dal basso per il rinnovamento dell’Unione in un processo costruttivo di dialogo, e non lasciarle alla mercé delle forze euroscettiche e populiste, che sempre più si presentano come gli autentici interpreti del cambiamento. Per l’Italia questo è particolarmente urgente. Dopo la caduta di consenso registrata nella prima fase dell’emergenza pandemica, bisogna approfittare della rinnovata fiducia degli italiani verso le istituzioni europee generata in particolare dall’adozione di Next Generation EU, il piano europeo per la ripresa. La Conferenza offre un’occasione unica in questa direzione, sia per il metodo di consultazione adottato che per il periodo in cui viene lanciata.

Fase costituente
Ma la Conferenza rappresenta un’opportunità anche per portare avanti le proposte di riforma da tempo promosse dall’Italia e che ora potrebbero essere sottoposte al vaglio dei cittadini – e, così, auspicabilmente, rilanciate ed in seguito adottate -.  Tra queste rientrano la trasformazione del meccanismo di condivisione del debito inserito in Next Generation EU in uno strumento permanente e la creazione di una fiscalità europea attraverso l’introduzione di nuove risorse proprie. 

Ma anche il rafforzamento della dimensione sovranazionale, attraverso l’ampliamento dell’ambito di applicazione del voto a maggioranza qualificata invece del paralizzante consenso a 27 e l’attribuzione di nuove competenze all’Unione in materia sanitaria, sociale e di difesa. 

Tutto questo implica però trasformare la Conferenza in una fase costituente per l’Europa, e chiedere che i suoi risultati siano presi in dovuta considerazione dalle istituzioni e trasformati in iniziative politiche. Quanto espresso dai cittadini dovrebbe trasformarsi in proposte legislative della Commissione o addirittura aprire un processo di riforma dei Trattati, e non restare lettera morta in un rapporto finale del quale i presidenti o il Consiglio potranno semplicemente prendere atto o accogliere favorevolmente. 

Opportunità politica
L’ultima ragione per cui l’Italia dovrebbe spendersi per una chiara riuscita della Conferenza sul futuro dell’Europa ha a che fare con l’opportunità politica. La Conferenza si concluderà l’anno prossimo sotto la presidenza di turno della Francia, ed Emmanuel Macron avrà tutto l’interesse ad ottenere risultati ambiziosi da utilizzare per la sua campagna elettorale presidenziale. 

La stessa Angela Merkel si è espressa di recente a favore di una Conferenza che porti a proposte concrete, senza escludere la riforma delle istituzioni. Del resto, i due Paesi avevano redatto un paper congiunto su metodo e obiettivi della Conferenza già nel novembre del 2019. Dall’altra parte, un gruppo di 12 Paesi europei – in sostanza gli Stati della cosiddetta “nuova Lega Anseatica” insieme a Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Malta – ha presentato una posizione comune a marzo scorso che esclude che dalla Conferenza possano derivare obblighi vincolanti e soprattutto una riforma dei Trattati. 

Per l’Italia di Mario Draghi è dunque arrivato il momento di prendere posizione e schierarsi al fianco di Francia, Germania e tutti gli altri Paesi che vorranno esserci, rinnovando il proprio impegno per la promozione di un’Europa più integrata e democratica.

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI, dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.