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"Voto non garantito a Gerusalemme"

La Palestina rinvia ancora una volta le elezioni attese da 15 anni

3 Mag 2021 - Nello del Gatto - Nello del Gatto

GERUSALEMME. Alla fine, è accaduto quello che tutti sapevano da tempo: le tanto agognate elezioni palestinesi, attese da 15 anni, non si terranno. E sarà principalmente per colpa dell’attuale leadership palestinese più che per le mancanze di quella israeliana, il cui silenzio comunque è stato determinante.

Da settimane, da quando cioè era chiaro che Fatah, il partito del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) non avrebbe avuto il successo sperato e che lo stesso leader avrebbe visto difficilmente la sua riconferma, diversi osservatori hanno vaticinato la sospensione della triplice tornata elettorale che, cominciando il 22 maggio e finendo ad agosto, avrebbe dovuto eleggere nell’ordine il Parlamento palestinese, il presidente dell’Autorità palestinese e il Parlamento dell’Olp.

La motivazione ufficiale addotta da Abu Mazen giovedì sera alla televisione, dopo un incontro con i vertici palestinesi, è che senza Gerusalemme Est il voto non si sarebbe potuto tenere, scaricando di fatto la colpa su Israele. Erano giorni che Abbas ribadiva che se non si fosse permesso il voto ai palestinesi di gerosolimitani – che sono anche pochi, ma pesano politicamente dal momento che l’Autorità palestinese rivendica Gerusalemme Est come propria capitale -, le elezioni non si sarebbero tenute.

Israele pilatesca e il rinvio di Abu Mazen
Israele, in verità, non ha mai annunciato né smentito che avrebbero permesso, come già successo nel 2006, le elezioni palestinesi anche a Gerusalemme Est. In particolare, un alto funzionario del ministero degli Esteri israeliano ha ribadito che il suo Paese non intende bloccare o essere coinvolto nelle elezioni palestinesi. Lo ha detto il direttore politico del ministero degli Esteri Alon Bar agli ambasciatori europei, anche se il non agire di Israele, il non rassicurare, il non annunciare in quali uffici postali ci sarebbe stato il voto, non ha certamente aiutato il processo elettorale palestinese. Un atteggiamento pilatesco che se assolve Israele da un punto di vista formale, non lo fa però da quello morale e fattuale.

L’Unione europea e i singoli Paesi del Vecchio continente avevano più volte richiesto a Israele di non impedire le operazioni di voto palestinesi, arrivando anche a proporre un voto online che è stato però respinto come possibilità dal governo di Ramallah. Dopotutto, lo stesso Abu Mazen avrebbe potuto tenere le elezioni per i gerosolimitani nelle città cisgiordane limitrofe. Invece ha deciso per la sospensione – non si sa se cancellazione definitiva o rinvio – anche se si è detto pronto a tenere le elezioni se a Gerusalemme potranno votare.

Le reazioni, tra Bruxelles e Hamas
La cosa ovviamente non è piaciuta a molti. L’Unione europea, attraverso un comunicato dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune Josep Borrell ha definito la decisione “profondamente deludente”. L’Alto rappresentante Ue ha incoraggiato “vivamente tutti gli attori palestinesi a riprendere gli sforzi per consolidare i negoziati di successo tra le fazioni negli ultimi mesi. Una nuova data per le elezioni dovrebbe essere fissata senza indugio. Ribadiamo il nostro invito a Israele a facilitare lo svolgimento di tali elezioni in tutto il territorio palestinese, compresa Gerusalemme Est”. Inoltre, Bruxelles ha chiesto “calma e moderazione”, dichiarandosi “pronta a collaborare con tutte le parti coinvolte per facilitare l’osservazione da parte dell’Ue di qualsiasi processo elettorale”.

Ma critiche ad Abu Mazen sono arrivate anche dall’interno della Palestina, sia per le strade sia sui media. Migliaia hanno protestato anche sulla spianata delle moschee in occasione della preghiera del venerdì. Hamas, che si è sempre dichiarata contraria al rinvio, ha detto di non aver voluto partecipare alla riunione convocata dal presidente anche se questi aveva annunciato un governo di coalizione. Per il gruppo che governa Gaza, la decisione di Abu Mazen non ha niente a che vedere con la questione di Gerusalemme ma segue “altri interessi. Il movimento di Fatah e il presidente palestinese hanno la piena responsabilità di questa decisione e delle sue conseguenze”.

Mohammed Sabha, capo di una lista affiliata ad Hamas ha fatto sapere che la non partecipazione è dovuta alla volontà di non legittimare la decisione di Abbas e che essa influenzerà i colloqui di riconciliazione con il movimento di Fatah oltre ad avere anche un impatto sul territorio. “Stiamo scendendo in piazza e prendendo provvedimenti per affrontare il rinvio”, ha detto in un comunicato. Diverse le manifestazioni di protesta in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Critiche ad Abbas anche online: molti i giovani palestinesi che rimpiangono di non poter votare, visto che per tanti di loro sarebbe stata la prima volta.

La battaglia politica
A spingere l’85enne Abu Mazen a optare per il rinvio sarebbero state da un lato la certezza di perdere il potere, dall’altro la consapevolezza di doverlo cedere ad Hamas, con conseguenti ritorsioni israeliane, americane di altri che considerano terrorista il gruppo che governa Gaza. Secondo i sondaggi più accreditati, il sostegno a Fatah sarebbe del 43%, rispetto al 30% di Hamas; entrambi sprovvisti di una chiara maggioranza per governare da soli. A seconda di chi altro corre, il supporto per Fatah potrebbe scendere fino al 32%.

Sul fronte presidenziale, più dei due terzi dei palestinesi vorrebbero le dimissioni di Abbas. Contro di lui, che avrebbe il 29% dei consensi, i leader palestinesi più popolari sono risultati Marwan Barghouti, ex leader di Fatah in carcere in Israele da anni dove sta scontando diversi ergastoli, che sarebbe preferito dal 48% degli elettori, mentre il leader di Hamas Ismail Haniyeh avrebbe il sostegno del 19%.

Lato partiti, la situazione è altrettanto difficile per Fatah, che sconta anni di accuse di corruzione dei suoi vertici, con diverse defezioni eccellenti. A cominciare da Nasser al-Qudwa, nipote del defunto presidente palestinese Yasser Arafat ed ex ambasciatore, che è a capo del neonato Partito della Libertà. Abbas ha cacciato al-Qudwa, che è stato anche ministro degli Esteri, da Fatah in seguito all’annuncio di questi che intendeva candidarsi in una lista separata alle elezioni palestinesi. Il colpo di teatro del nipote di Arafat, cacciato anche dalla fondazione intitolata allo zio e comunque molto popolare e rispettato in Palestina, è stato mettere in lista Fadwa Barghouti, la moglie del leader palestinese imprigionato Marwan.

Foto di copertina EPA/Thaer Ghanaim / Palestinian President office