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Il difficile mandato di Aragonès

Nuovo governo in Catalogna, ma l’indipendenza rimane un miraggio

22 Mag 2021 - Steven Forti - Steven Forti

BARCELLONA. Nessuna sorpresa e niente di nuovo: questo potrebbe essere il riassunto telegrafico delle novità che arrivano dalla Catalogna. Nonostante le profonde tensioni tra i principali partiti indipendentisti, come prevedibile lo scorso 21 maggio Pere Aragonès, leader di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), è stato eletto presidente della Generalitat de Catalunya con i voti a favore delle altre due formazioni che rivendicano la secessione della ricca regione nord-orientale della Spagna, Junts per Catalunya (JxCat) e la Candidatura d’Unitat Popular (Cup).

Le elezioni del 14 febbraio avevano dato, anche grazie ad una altissima astensione (47%), una maggioranza in voti e seggi agli indipendentisti con una differenza rispetto al passato: per poche migliaia di voti Erc ha sorpassato per la prima volta JxCat, la formazione guidata dall’ex presidente Carles Puigdemont, rifugiatosi in Belgio dopo i fatti dell’ottobre del 2017 (quando organizzò il referendum per l’autodeterminazione, non riconosciuto da Madrid, ndr). I repubblicani potevano così esprimere il presidente della Generalitat, una carica che – al di là della breve tappa di Josep Tarradellas durante la transizione alla democrazia – Erc non occupava dai tempi della Seconda Repubblica spagnola negli anni Trenta.

Ci sono voluti però oltre tre mesi per mettere d’accordo le tre formazioni indipendentiste, sfiorando il rischio di una ripetizione elettorale. Gli anticapitalisti della Cup appoggiano dall’esterno un esecutivo in cui Erc e JxCat si dividono paritariamente le posizioni di governo. Il prezzo che ha dovuto pagare Aragonès per ottenere la tanto anelata presidenza è comunque molto alto visto che gli assessorati di maggior peso in una fase come l’attuale – Economia, Finanze, Infrastrutture, Sanità, ecc. – vanno agli alleati-nemici del partito di Puigdemont, così come la presidenza del Parlamento. Sarà JxCat, in sintesi, a controllare in buona misura i fondi europei che toccheranno alla Catalogna.

Referendum e amnistia
Nel suo discorso di investitura, Aragonès ha ribadito la linea di Erc che cerca di unire un certo pragmatismobasato sul dialogo con il governo di Madrid – con la rivendicazione dell’indipendenza, una concessione probabilmente ai soci di JxCat che difendono la rottura unilaterale con la Spagna. Le priorità del nuovo governo regionale sarebbero dunque, oltre alla ripresa economica e al completamento della campagna vaccinale, un referendum di autodeterminazione accordato con lo Stato sul modello scozzese e l’amnistia per i politici indipendentisti condannati o rifugiatisi all’estero per i fatti del 2017.

Come spesso accade nella politica catalana, la retorica e una certa epica la fanno da padrone, anche se i tempi sono ben diversi da qualche anno fa. Se è vero, difatti, che alle ultime regionali i partiti indipendentisti hanno superato per la prima volta la soglia psicologica del 50% dei voti, hanno però perso oltre 600mila elettori e tutti i sondaggi mostrano come i catalani favorevoli all’indipendenza continuino a calare, attestandosi ormai attorno al 40%.

Per il 75% della popolazione, il principale problema è infatti la crisi sanitaria e soprattutto quella economica causata dalla pandemia, che si fa sentire moltissimo in una regione in cui un terzo degli occupati dipende dal turismo. Si aggiunga per di più che l’ultima legislatura è stata completamente inutile prima con la presidenza di Joaquim Torra, intento più a infuocare gli animi che a governare, e poi, dopo la sua inabilitazione, con un esecutivo di transizione in funzione per oltre sei mesi.

Turbolenze all’orizzonte
Aragonès ha dunque davanti a sé un compito piuttosto difficile. In primo luogo, perché le relazioni con JxCat, nonostante l’accordo dell’ultim’ora, sono ai minimi storici. In secondo luogo, perché la stabilità del governo non è da dare per scontata: da un lato, un settore di JxCat, vicino a Puigdemont, avrebbe preferito optare per un ritorno alle urne e vede come fumo negli occhi la presidenza di Aragonès.

Dall’altra, la Cup ha garantito il suo appoggio solo fino a inizio 2023, quando dovrà tenersi una mozione di fiducia per vedere se si è rispettato l’accordo firmato tra le due formazioni. Tenendo conto, poi, che il programma della Cup è di estrema sinistra mentre quello di JxCat è di una destra neoliberista che strizza l’occhio a derive etniciste e identitarie, non è nemmeno detto che l’esecutivo resista fino ad allora.

Bisognerà poi capire quanto tutto ciò influirà sulla stabilità del governo spagnolo: è bene ricordare che Pedro Sánchez governa in minoranza, insieme a Unidas Podemos, basandosi sull’appoggio di diverse formazioni regionaliste e nazionaliste in un Parlamento quanto mai frammentato. Nonostante le pressioni al riguardo di Puigdemont, che preferirebbe far cadere l’esecutivo socialista per la logica del “tanto peggio tanto meglio”, Erc ha garantito che continuerà ad appoggiare Sánchez a Madrid. Ovviamente, ci dovranno essere degli sviluppi nella risoluzione della questione catalana, iniziando dall’indulto agli indipendentisti incarcerati (tra cui lo stesso leader di Erc Oriol Junqueras, che ha approfittato di un permesso temporaneo per assistere all’insediamento di Aragonès, ndr).

La posta in palio vista da Madrid
Sánchez ha sempre difeso la distensione con Barcellona, ma il tavolo di dialogo costituitosi nel febbraio 2020 non si è più riunito a causa della Covid e dell’assenza di un governo in Catalogna. Il premier spagnolo dovrà fare ora la prima mossa, evitando di sentirsi intimidito da una destra sempre più agguerrita, ancora di più dopo la vittoria alle regionali di Madrid della popolare Isabel Díaz Ayuso, che vede ogni passo verso il dialogo con l’indipendentismo come una cessione o un tradimento.

Dall’altra, però, Aragonès dovrà essere capace di mantenere la barra dritta, senza cedere ai ricatti oltranzisti di JxCat e portando avanti un programma di governo che si occupi di questioni concrete e non del sesso degli angeli. Il rischio, in caso contrario, non è l’indipendenza della Catalogna, opzione assolutamente irrealistica in questo momento, ma l’instabilità cronica della politica catalana e spagnola. E, ça va sans dire, un regalo alla destra del Pp e di Vox, sempre più arroccate su posizioni radicali.

Nella foto di copertina EPA/ALBERTO ESTEVEZ / il nuovo presidente della Generalitat catalana Pere Aragonès di Erc