Non basterà il dossier Bielorussia a far diventare l’Ue un attore globale
La bella addormentata si è risvegliata. Finalmente, nei confronti della Bielorussia e del suo dittatore Aleksandr Lukashenko, l’Ue ha agito con rapidità e ad “una voce sola”, come si usa dire in questi casi. D’altronde la mossa di Lukashenko di dirottare e fare atterrare forzatamente in Bielorussia un aereo di una compagnia irlandese, la Ryanair, in volo fra due capitali dell’Unione, Atene e Vilnius, è stato un atto talmente assurdo e criminale da non lasciare altra scelta ai capi di Stato e governo riuniti a Bruxelles se non quella di una dura condanna.
Con una buona dose di retorica la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha infatti definito il dirottamento come un “attacco alla sovranità europea”. Tutti i 27 leader Ue hanno quindi deciso di adottare nuove misure sanzionatorie nei confronti di esponenti politici e aziende bielorusse, nonché di vietare alla compagnia di bandiera Belavia sia il sorvolo che lo scalo nei Paesi dell’Ue e di richiedere agli operatori europei di non sorvolare lo spazio aereo bielorusso.
Naturalmente queste sono per ora solo le indicazioni di massima che il Consiglio europeo ha adottato sotto la forte pressione degli eventi. Occorreranno poi ulteriori passaggi negli altri organismi dell’Ue e nel Consiglio Affari esteri per rendere operative le misure. Ma la buona notizia, in ogni caso, è che l’Ue ha finalmente reagito. E non è cosa da poco, perché dietro l’azione criminale e la sfida di Lukashenko è facile intravvedere il sostegno della Russia, sia dal punto di vista operativo – con la sorveglianza ad Atene del dissidente giornalista Roman Protasevich, poi arrestato una volta atterrato in Bielorussia – sia e soprattutto dal punto di vista politico con un aperto sostegno al diritto del dittatore di Minsk di sopprimere la dissidenza nei suoi confronti. Un’abile operazione quella russa che tende a screditare Lukashenko agli occhi degli europei e allo stesso tempo renderlo sempre più dipendente da Mosca.
Vi è però da aggiungere che proprio la questione del dirottamento e dell’arresto di Protasevich ha finito con il rinviare il tema ben più delicato e divisivo delle relazioni (pessime) dell’Unione con la Russia, che pure era uno dei punti principali sul tavolo del Consiglio europeo. Si è infatti deciso di chiedere alla Commissione un rapporto sullo stato delle relazioni con Mosca, da discutere in una prossima occasione. Se quindi sul caso Protasevich l’Ue ha dimostrato compattezza e realismo, lo stesso non si può dire in tante altre occasioni.
Innanzitutto va sottolineato che la Bielorussia è un Paese di minimo interesse strategico ed economico per l’Ue e che i brogli elettorali delle elezioni dell’estate scorsa, seguite da furibonde repressioni della protesta, hanno reso indigeribile per tutti il regime dittatoriale di Lukashenko, già allora oggetto di pesanti sanzioni economiche e personali. Quindi era abbastanza facile muoversi sulla stessa linea di condanna.
Ciò tuttavia non riesce a nascondere la drammatica difficoltà dell’Ue di essere quel “global player” che la presidente della Commissione ha predicato fin dal primo giorno del suo insediamento e che si basa anche su numerosi documenti elaborati negli ultimi anni, ma mai realmente applicati nella realtà. In effetti, quando si tratta di prendere una semplice posizione comune su un fatto internazionale, gli ostacoli da superare sono molteplici.
È successo recentemente per una dichiarazione comune in favore del cessate il fuoco fra israeliani e palestinesi: è bastata la sola opposizione dell’Ungheria di Viktor Orbán per bloccarla. Ancora il premier di Budapest, da vera pecora nera dell’Ue, ha posto il veto su un’altra dichiarazione di condanna contro Pechino per le leggi liberticide su Hong Kong. Ma lo stesso è successo con Cipro, che l’anno scorso ha ritardato di ben tre mesi una condanna dell’Ue proprio contro Lukashenko per i brogli elettorali e per la repressione dell’opposizione. La ragione di Nicosia per questo rallentamento era quella ottenere dall’Ue analoghe sanzioni contro la Turchia per la sfida di Ankara nell’Egeo. Insomma, quale che sia la ragione, basta che un solo membro dei 27 ponga il veto o la sua minaccia per bloccare l’ambizione dell’Unione di giocare il ruolo di credibile attore internazionale.
Il guaio è che non è possibile avere una politica estera comune, se l’unanimità deve rimanere la regola principale. Neppure formule come quella della astensione costruttiva da parte di un paese, per lasciare che gli altri procedano uniti nelle loro decisioni, è mai realmente servita. La stessa Angela Merkel si è resa conto di questi limiti, tanto da proporre sia una specie di Consiglio di Sicurezza a rotazione fra Paesi membri per prendere decisioni più rapide e incisive, sia il ricorso al voto a maggioranza qualificata anche a livello di Consiglio europeo.
Insomma, per ora dobbiamo accontentarci della buona notizia di Bruxelles, ma è ben evidente che non sarà la Bielorussia a risolvere il problema di fondo dell’Ue di diventare davvero un attore globale in questo pericoloso e complesso mondo.