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Un golpe nel golpe

L’ombra lunga dei militari sulla transizione in Mali

30 Mag 2021 - Jacopo Resti - Jacopo Resti

Il 24 maggio i vertici militari del Mali hanno destituito dai loro incarichi nel governo di transizione il presidente Bah N’daw e il primo ministro Moctar Ouane, per poi trasferirli in arresto nella base militare di Kati, situata a 15 chilometri dalla capitale Bamako. Entrambi sono stati poi rilasciati il 27 maggio, dopo aver rassegnato le dimissioni il giorno precedente.

Si è trattato di “ un colpo di Stato nel colpo di Stato”, e di un evento fotocopia rispetto a quanto già accaduto nel Paese africano nove mesi prima, il 18 agosto 2020. In quell’occasione, gli stessi esponenti militari furono protagonisti del putsch che depose l’allora presidente Ibrahim Boubacar Keïta, al potere dal 2013, e il suo primo ministro Boubou Cissé, poi reclusi in circostanze analoghe nella stessa base di Kati. I militari, rappresentati dal giovane colonnello Malick Diaw, si fecero interpreti delle forti proteste popolari che da mesi scuotevano il Paese.

Gruppi di opposizione e della società civile, guidati dal Movimento del 5 Giugno (M5-Rfp) dell’imam Mahmoud Dicko, lamentavano una corruzione endemica, un’economia alla deriva e una risposta inefficace alle attività terroristiche sempre più diffuse in Mali e in Sahel. Le accuse di brogli elettorali nella controversa rielezione di Keïta nell’aprile di quell’anno e la successiva nomina da parte del presidente di una Corte costituzionale a lui fedele, avevano spinto i militari all’azione.

Rimpasto non autorizzato
Dopo quasi un anno, poco o nulla è cambiato. La transizione politica si è inceppata e il malcontento non ha mai abbandonato il Paese. Il controllo politico dei militari è sempre più incontrastato e l’apparato istituzionale non svolge più alcuna funzione di controllo. A cambiare è stato solo il pretesto con cui i militari hanno riaffermato il loro potere: un audace rimpasto di governo attuato dal presidente e dal primo ministro nel tentativo di dare una svolta alla crisi politica, aggravata nelle ultime settimane da un lungo sciopero dei sindacati che ha bloccato il Paese.

Nella nuova compagine di governo sarebbero stati nominati nuovi rappresentanti dell’esercito per i dicasteri Difesa e Sicurezza senza previa consultazione con il vice-presidente della transizione, il colonnello Asimi Goita, uomo forte in Mali e leader della giunta golpista che aveva deposto il presidente Keïta lo scorso agosto. È stata in particolare l’identità degli esclusi a destare nervosismo fra i militari, in quanto si è trattato di esponenti di rilievo all’interno del fronte golpista: il generale Sadio Camara e il colonnello Modibo Kone.

Questi sviluppi rischiano di destabilizzare ulteriormente il Paese e di complicare il delicato processo di transizione politica che ha fra i suoi principali obiettivi l’approvazione della nuova Costituzione e, entro ottobre, della legge elettorale, con le politiche previste il prossimo febbraio. Il colonnello Goita rimane momentaneamente a capo della transizione, mentre sono in corso le consultazioni per la formazione di un nuovo governo che dovrebbe includere un rappresentante del Movimento M5-Rfp per venire incontro alle istanze dei gruppi di protesta.

Reazione internazionale
La reazione internazionale non si è fatta attendere, ma è ferma alle dichiarazioni di principio. Il comitato locale per il monitoraggio della transizione, composto dalla Comunità economica dell’Africa occidentale (Ecowas), dall’Unione africana e dalla missione Onu in Mali (Minusma), insieme a Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Unione europea, ha richiesto il “rilascio immediato e incondizionato” della leadership civile (poi avvenuto), condannando “qualsiasi atto di coercizione, comprese le dimissioni forzate”.

Il giorno seguente, una delegazione dell’Ecowas con a capo l’ex presidente nigeriano Goodluck Ebele Jonathan, si è recata alla base di Kati per mediare con i militari una soluzione alla crisi che ristabilisse la guida civile della transizione. Gli Stati Uniti nel frattempo hanno sospeso la cooperazione militare con le forze di sicurezza maliane, annunciando possibili provvedimenti contro qualsiasi tentativo di ostacolazione della transizione civile da parte di leader politici o militari.

Scenari regionali
La crisi maliana si protrae ormai da quasi dieci anni, da quando nel 2012 gruppi jihadisti affiliati ad Al-Qaeda e al sedicente Stato Islamico si sono insediati nelle regioni centro-settentrionali del Paese, costringendo l’intervento francese e della comunità internazionale, Italia compresa, al fianco del governo e delle Forze armate locali. Quello di quest’anno è il terzo colpo di stato in meno di dieci anni. Nello stesso periodo c’è stato un aumento degli attacchi terroristici ai danni della popolazione, con oltre 5 milioni di persone sfollate. Il numero di vittime è cresciuto rapidamente negli ultimi anni, raggiungendo il picco nel 2020 con un bilancio di quasi 2400 civili fra Mali, Burkina Faso e Niger.

Guardando alla regione del Sahel nel suo insieme, le variabili legate alla sicurezza appaiono sempre più complesse e diversificate. La travagliata transizione in Mali si aggiunge alle incognite di quella in Ciad, provocata dalla recente scomparsa del leader Idriss Déby, prezioso alleato della Francia nelle operazioni militari di sicurezza regionale, e alla fragilità del nuovo corso democratico in Niger.

Questa volatilità politica potrebbe esacerbare la crisi e favorire un’escalation di violenza nella regione, specie nella polveriera del Liptako-Gourma, regione al confine fra Mali, Niger e Burkina Faso, dove si registrano continue violenze da parte dei gruppi armati jihadisti. Vista la precarietà dei contesti nazionali, potrà essere determinante il contributo dei partner internazionali, in particolare di Francia, Paesi del G5 Sahel e delle organizzazioni regionali come l’Ecowas e l’Unione africana. Tutte queste entità dovranno favorire una stabilizzazione indipendente da un uomo forte al potere, ma radicata nella resilienza delle istituzioni nazionali, dello stato di diritto e dello sviluppo socio-economico a beneficio della popolazione.

Foto di copertina Michele Cattani / AFP