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Entusiasmo, dubbi e critiche

Il dibattito dopo la proposta degli Usa di sospendere i brevetti sui vaccini

12 Mag 2021 - Francesco Bascone - Francesco Bascone

L’uscita inattesa del presidente degli Stati Uniti Joe Biden in favore della sospensione dei brevetti sui vaccini, propugnata diversi mesi fa da India e Sudafrica, è stata più che altro un gesto simbolico verso l’ala sinistra del Partito democratico? O fa parte della diplomazia vaccinale verso i Paesi meno prosperi per contrastare quella russa e cinese? Probabilmente entrambe queste motivazioni.

Potrebbe invece riflettere una genuina volontà di anteporre l’interesse generale della popolazione mondiale agli interessi dell’America e del grande capitale? Auspicabilmente sì, ma in tal caso sarebbe stato logico cominciare dal rimuovere ogni ostacolo all’esportazione dei vaccini prodotti negli Usa e dei loro ingredienti, sussidiarne la vendita ai Paesi poveri e incentivare le aziende ad aumentare massicciamente la capacità produttiva nazionale e globale.

Le reazione alla proposta di Biden
A prima vista l’iniziativa, che ha l’appoggio della direttrice del Wto Ngozi Okonjo-Iweala e della maggioranza dei Paesi membri, può apparire ragionevole: le grandi società farmaceutiche hanno dimostrato la loro efficienza nello sviluppare i vaccini in tempi record, ma hanno già visto remunerati ampiamente i loro investimenti e moltiplicato il valore delle loro azioni (Pfizer prevede per questo anno vendite per 26 miliardi e profitti per 7 miliardi); esse hanno beneficiato non solo di contributi statali alla ricerca ma anche della ricerca di base e della formazione di scienziati  sviluppate dalle università e altre istituzioni; immunizzare le popolazioni dei Paesi ricchi lasciando scoperta buona parte dell’umanità del terzo mondo lascerà troppo spazio al virus per elaborare mutazioni vincenti.

Altrettanto valide, ma non del tutto ostative, le obiezioni: il profitto è la molla che ha dato impulso alla ricerca, quindi espropriarlo disincentiverebbe future ricerche; per avviare un nuovo sito produttivo non basta una licenza, occorre tutto un know-how che è molto difficile trasferire senza rischiare un calo della qualità; attrezzare industrie esistenti alla produzione di questi vaccini richiede almeno 4-6 mesi, non risolverebbe perciò il problema della carenza di dosi che è acuto in questo primo anno; le regole del Wto già prevedono la possibilità, in situazioni di emergenza, della cessione obbligatoria di licenze a Paesi meno prosperi (con un compenso, e solo per uso interno). 

I dubbi in Europa
La prima obiezione è stata fatta propria dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, in questo caso interprete di una logica prettamente capitalistica piuttosto che dei valori solidaristici che le avevano attirato lodi e critiche in occasione della crisi migratoria del 2015. Ciò non deve sorprendere, visto che proprio in Germania sono stati sviluppati due dei tre vaccini che usano la tecnologia mRNA, quella che ha più futuro. Gli altri Paesi dell’Ue mostrano più imbarazzo che entusiasmo per l’iniziativa di Biden (“la situazione è complessa”), ad eccezione del presidente francese Emmanuel Macron che la appoggia. “Siamo pronti a discuterne”, come ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, significa guadagnare tempo e riservarsi di porre condizioni e sollevare scrupoli giuridici. 

Ma che Biden sia in grado di guidare la rivolta contro i brevetti purché non venga frenato da Berlino e Bruxelles è tutto da dimostrare. Di certo troverà ostacoli nel Congresso, all’interno del proprio partito, nei mezzi di informazione, nei tribunali.

Più realistico è immaginare che la proposta di “sospensione“ sia solo una cannonata a salve per aprire un negoziato con le società farmaceutiche interessate a siglare accordi con India, Sudafrica e altri Paesi sulla cessione di licenze con royalties ridotte, ma anche sulla fornitura di attrezzature, ingredienti e know-how.

Minaccia per l’oligopolio?
Il settore delle Big Pharma potrebbe replicare che l’operazione porterebbe frutti al più presto a fine anno, e che a quel punto l’offerta sarà comunque in grado di soddisfare la domanda senza alterare i meccanismi di mercato. Ma i contratti siglati per il 2021 appaiono compatibili con il raggiungimento di questo traguardo solo per i Paesi ricchi, i quali già si premuniscono per un secondo ciclo di vaccinazioni e per gli anni successivi; quanto agli altri il programma Covax dell’Oms prevede per quest’anno solo 2 miliardi di dosi (in buona parte provenienti da Ue e Cina, in minima parte dagli Usa). La creazione di capacità di produzione aggiuntive per la distribuzione generalizzata dei vaccini a prezzi abbordabili è dunque una necessità se si vuole arginare la pandemia a livello globale. 

È evidente l’interesse delle società farmaceutiche come Pfizer e Moderna ad impedire la proliferazione dei siti di produzione a basso costo per poter  mantenere e giustificare prezzi elevati (non è il caso di AstraZeneca, che si è impegnata a vendere a prezzo di costo). Il compito del presidente Biden sarà di convincerle ad accontentarsi dei profitti già realizzati e collaborare ad un grandioso programma di aiuti con generosi contributi dei governi degli Stati Uniti e di altri Paesi sviluppati: un caso di quella tanto sbandierata forma di capitalismo illuminato, la public-private partnership (Ppp).

Cina e Russia hanno sinora usato non disinteressatamente i loro vaccini a fini di prestigio e di influenza in Paesi dove poche centinaia di migliaia di dosi bastano a conseguire dividendi politici (poche migliaia nel caso di San Marino). Ma il loro esempio e la loro concorrenza, una volta che l’Agenzia europea del farmaco (Ema) e analoghe autorità avranno sdoganato i loro vaccini, avranno il merito di indebolire l’oligopolio delle società farmaceutiche e le resistenze dei governi più sensibili ai loro argomenti.   

Foto di copertina EPA/OLIVER CONTRERAS / POOL