Cuba senza i Castro spera nella fine dell’embargo
Lo scorso 19 aprile, l’VIII Congresso del Partito Comunista Cubano (Pcc), riunito all’Avana in un’assemblea ridotta causa Covid-19, ha eletto l’attuale presidente della Repubblica Miguel Díaz-Canel come primo -e da adesso unico- segretario del Partito. L’annuncio, largamente previsto, è arrivato direttamente da Raúl Castro. Lo storico leader, infatti, aveva già da tempo stabilito la scadenza del suo mandato e la sua uscita dal quadro istituzionale del Partito, dando inizio alla transizione già nel 2018, lasciando dapprima la presidenza della Repubblica per poi ritirarsi oggi, alla soglia dei 90 anni, anche dalla guida dell’unico partito del Paese.
L’elezione di Miguel Díaz-Canel, 61 anni, rappresenta un momento storico per lo Stato caraibico che, in occasione dell’anniversario dei 60 anni dall’invasione della Baia dei Porci, vede alla guida del Paese (e del Partito) il primo leader nato dopo la Rivoluzione e il primo non appartenente alla famiglia Castro.
Cosa cambia per Cuba?
Al di là dell’atto simbolico del ricambio nella direzione del partito, i risultati del Congresso sono stati quelli attesi. Chi pensava che l’uscita di Castro dalla segreteria di Partito avrebbe significato una ‘rivoluzione dentro la rivoluzione’ dovrà rimanere deluso. Non ci sarà, infatti, alcun cambiamento nella politica, almeno finché l’anziano leader vivrà e continuerà ad esercitare il suo compito di garante– neanche troppo- ‘esterno’ della Rivoluzione.
Cuba continuerà ad essere un Paese con un partito unico e un’economia pianificata, in cui lo Stato continuerà a giocare un ruolo predominante. Non è un caso, infatti, che una delle questioni più rilevanti affrontate dal Congresso fosse quella di comprendere quanto il neo Ufficio politico sarebbe stato disposto a concedere in termini di trasformazioni economiche e se si sarebbero potute gettare le basi per una grande riforma. Da questo punto di vista una reale apertura non si è realizzata anche se in alcuni interventi e documenti licenziati dall’assemblea è stato riconosciuto chiaramente il ruolo sempre più rilevante delle cosiddette ‘forme di gestione non statale’, cioè del settore privato e cooperativo.
La reazione negli Stati Uniti
Sul fronte delle relazioni con l’estero, va sottolineato invece il fatto che gli Stati Uniti abbiano accolto con freddezza la notizia del passo indietro di Castro o per lo meno le reazioni registrate non hanno avuto niente a che vedere con le scene di festa e trionfo di Little Havana avutesi alla morte di Fidel. Sebbene in campagna elettorale Joe Biden si fosse impegnato pubblicamente ad una distensione con Cuba, al momento i rapporti con lo Stato caraibico non sembrano essere, per sua stessa ammissione, in cima alle priorità della Casa Bianca.
A questo proposito va detto che anche all’interno dello schieramento democratico sembra si stia aprendo una frattura tra coloro che vorrebbero approfittare degli eventi recenti per avviare una rapida inversione di rotta rispetto all’era trumpista e coloro che invece vorrebbero mantenere la linea dura della precedente amministrazione che non solo aveva inasprito sanzioni ed embargo ma, negli ultimi mesi da presidente, aveva visto Trump inserire Cuba tra gli Stati sponsor del terrorismo internazionale. Una linea condivisa anche dalla maggioranza della comunità cubana esule in Florida che non vede di buon occhio il ricambio ai vertici del Pcc, convinta che il sistema e il governo cubano siano più di un cognome.
Incassata la reazione di Washington, la nuova dirigenza cubana non ha però perso tempo, decidendo di incalzare proprio Biden sulla questione embargo. Neanche una settimana dopo l’uscita di scena di Castro, il ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez Parrilla ha fatto sapere che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, su richiesta di Cuba, tornerà a pronunciarsi il 23 giugno sulla possibilità di scioglimento del regime sanzionatorio imposto all’isola dagli Usa. Nell’ultimo anno, infatti, a causa degli effetti della pandemia, Cuba si è trovata a dover fronteggiare una crisi economica devastante su cui, mai come in questo momento, pesano i sei decenni di embargo imposto al Paese e ai suoi cittadini.
Nel suo intervento in occasione dell’Incontro Internazionale di Solidarietà con Cuba, tenutosi lo scorso 1°maggio, il capo della diplomazia cubana non ha esitato a richiamare l’attenzione sulle 243 sanzioni a carico del Paese, volute da Trump e mantenute dal nuovo presidente, chiedendo a Biden una presa di posizione in senso opposto.
La “rivoluzione” vaccinale
Intanto però, sul fronte della lotta alla pandemia, Cuba si appresta ad annunciare al mondo il primo successo della nuova generazione di leader. Il Paese ha annunciato l’inizio della terza e ultima fase di sperimentazione clinica di due dei cinque sieri contro il Covid-19 sviluppati a Cuba, Soberana 02 e Abdala, candidati a diventare i primi vaccini nati e prodotti interamente in Sudamerica.
Per la fine dell’estate l’isola potrebbe avere, dunque, un proprio vaccino con cui immunizzare tutti gli 11 milioni di abitanti entro la fine dell’anno. Dai laboratori di BioCubaFarma, il gruppo farmaceutico che sta sviluppando i vaccini, sono già uscite più di 300.000 dosi e i loro direttori assicurano di avere la capacità di produrne 100 milioni di fiale prima della fine del 2021.
Un successo scientifico e politico innegabile se si considera anche che Cuba sta già pensando di esportare il proprio vaccino e alcuni Paesi della regione hanno già manifestato interesse, Venezuela su tutti, insieme ad altri Stati del Caricom. Anche Cuba potrebbe così avanzare una propria diplomazia vaccinale.
Foto di copertina EPA/Yander Zamora