Cattura e stoccaggio del carbonio: la partita globale e le mosse dell’Italia
La tecnologia della cattura e stoccaggio del carbonio (Carbon Capture and Storage, Ccs) consente di separare l’anidride carbonica (CO2) dagli altri gas negli impianti di combustione per poi trasportarla via nave o condotta e stoccarla in formazioni geologiche profonde. Si può applicare sia alle centrali termoelettriche sia ai siti industriali.
In alternativa, la CO2 può essere riutilizzata con le tecnologie di Carbon Capture Utilisation and Storage (Ccus), che ne evitano comunque il rilascio in atmosfera. La si può ad esempio utilizzare per realizzare prodotti chimici o carburanti, incorporare in materiali da costruzione o iniettare nei pozzi petroliferi per massimizzarne la produzione attraverso la tecnica del Recupero assistito del petrolio (Enhanced Oil Recovery, Eor).
I progetti sul tavolo
Attualmente al mondo ci sono 21 impianti Ccs in funzione, 3 in costruzione, 17 in fase avanzata di sviluppo e 24 in fase iniziale di sviluppo. Il numero di progetti in fase avanzata è quasi tre volte superiore rispetto al 2017. Il valore aggregato dei 65 progetti, in termini di investimenti richiesti, è di ben 27 miliardi di dollari. Se tutti i progetti previsti venissero realizzati, la capacità globale di stoccaggio della CO2 aumenterebbe da 40 a 130 milioni di tonnellate.
Oltre ad essere più numerosi, i progetti sul tavolo si sono evoluti in termini di tipologia e obiettivi. Rispetto al passato, il Recupero assistito del petrolio è meno preponderante come fattore trainante e un numero sempre maggiore di progetti nasce per offrire lo stoccaggio della CO2 come servizio.
Sempre più progetti si inscrivono inoltre in disegni più ampi di creazione di hub industriali a prova di futuro. Nei poli industriali è presente una notevole concentrazione di CO2 da immagazzinare o riutilizzare, un elemento che facilita il raggiungimento di economie di scala. Abbattere i costi unitari di produzione è una priorità assoluta per rendere la Ccs competitiva rispetto ad altre soluzioni decarbonizzanti. Allo stesso tempo un graduale aumento dei prezzi del carbonio sarà un incentivo importante per la Ccs.
Visto che decarbonizzare sfruttando il valore degli impianti industriali, delle centrali termoelettriche e delle reti energetiche esistenti è un’esigenza fondamentale a cui la Ccs è chiamata a rispondere, è importante che inizino a sorgere progetti di tipo ‘nuovo’ oltre a quelli tradizionali legati a schemi Eor.
I nuovi progetti più ambiziosi sono in Nord Europa, una regione che sta puntando molto sulle molecole pulite e la massimizzazione del valore degli asset esistenti. Tra questi innanzitutto Northern Lights, un sito di stoccaggio sottomarino che a partire dal 2024 riceverà la CO2 catturata da cementifici e termovalorizzatori norvegesi. In futuro il sito potrà accogliere flussi di CO2 da altri Paesi interessati. È stato inoltre avviato Porthos, un progetto che prevede la cattura della CO2 dal polo di Rotterdam e il suo stoccaggio a venti chilometri dalla costa olandese.
La situazione in Italia
Mentre gli altri Paesi europei galoppano, l’Italia prova ad inseguire. Nella nostra penisola, il progetto più ambizioso è Ravenna Ccs di Eni. Esso prevede lo stoccaggio della CO2 nei giacimenti di gas esauriti al largo di Ravenna con lo scopo di decarbonizzare le aree industriali del nostro Paese e in particolare i settori più energivori (cementifici, acciaierie, chimica, cartiere e industria della ceramica) per i quali non sono disponibili ad oggi soluzioni alternative di rapida attuazione e più economiche. Il dibattito sulla Ccs in Italia è tuttavia divisivo, come dimostrato dall’esitazione nell’inserire la Ccs come area d’intervento nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
All’interno di un dibattito sempre più polarizzato, chi è contrario alla Ccs sottolinea il rischio che essa possa distrarre fondi dalle rinnovabili, dall’elettrificazione e dall’idrogeno verde. Altre argomentazioni contrarie si poggiano su preoccupazioni circa presunti rischi per la sicurezza posti dallo stoccaggio dell’anidride carbonica e l’impossibilità di abbattere le emissioni del 100%.
Un dibattito ancora aperto
La Ccs viene vista dai suoi detrattori come un mero espediente per tenere in vita il comparto petrolifero, uno dei principali responsabili del surriscaldamento globale. Il comparto dice di voler contribuire alla transizione, ma soffre di problemi reputazionali e nel frattempo altre soluzioni di decarbonizzazione hanno fatto passi da gigante. È innegabile che le imprese avrebbero potuto investire prima in Ccs.
D’altro canto, la Ccs permette di abbattere le emissioni di CO2 fino al 90% e deve dunque essere una delle soluzioni sul tavolo per la transizione energetica. Uno dei motivi per cui la Ccs sta prendendo sempre più piede è in effetti l’accelerazione degli sforzi di decarbonizzazione e l’adozione di target sempre più ambiziosi. Tra questi si annoverano sicuramente gli obiettivi europei di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e l’abbattimento delle emissioni del 55% entro il 2030.
Da un lato i target sono sempre più ambiziosi ma dall’altro sono sempre più i evidenti i limiti dell’elettrificazione e della capacità di penetrazione di solare ed eolico. Anche se che questi ultimi saranno sicuramente un pilastro della transizione, l’elettrificazione non è adatta a decarbonizzare le attività industriali e il trasporto pesante, marittimo e aereo.
Anche l’intermittenza delle rinnovabili e gli alti costi e le sfide tecniche poste dallo stoccaggio stagionale e dal trasporto dell’elettricità rendono fondamentale produrre molecole pulite per il funzionamento del sistema energetico. La Ccs può svolgere un ruolo fondamentale in questo come complemento alle rinnovabili, anche come facilitatrice dell’idrogeno blu in attesa che calino i costi di produzione dell’idrogeno verde.
Sulla Ccs l’Italia si trova a competere con Paesi dinamici e deve essere messa nella posizione di poter giocare la propria partita. In palio ci sono decarbonizzazione, competitività economica, occupazione e obiettivi strategici. È utile che in Italia ci sia un dibattito partecipato e informato su questo tema, senza pregiudizi ideologici da una parte e dall’altra. All’interno di questo dibattito le preoccupazioni dei cittadini vanno rispettate ed è fondamentale che il settore privato dia il proprio contributo alla transizione e che agisca in modo impeccabile nelle comunità e negli ecosistemi in cui opera.
Foto di copertina EPA/WU HONG