IAI
L'arresto dell'ufficiale della Marina

Le spie della Russia sono un’emergenza anche per l’Italia

2 Apr 2021 - Anna Zafesova - Anna Zafesova

La circostanza più peculiare della spy story del capitano di fregata italiano arrestato in compagnia di un diplomatico russo al quale stava passando una chiavetta con informazioni segrete non è il fatto in sé dello spionaggio, né la somma relativamente esigua – 5 mila euro, ma non sappiamo né in cambio di quali informazioni, né se fosse un pagamento una tantum o soltanto una “rata” di un impegno più continuativo in qualità di “talpa” – del compenso offerto dall’intelligence russa per un reato grave che potenzialmente potrebbe costare all’ufficiale italiano la condanna all’ergastolo. L’aspetto più singolare della vicenda è stato lo stupore con il quale è stata accolta dai media e dall’opinione pubblica più in generale.

Casi del genere sono ordinaria amministrazione, ormai da più di un decennio, durante il quale gli agenti russi – sia concittadini di Vladimir Putin che occidentali che hanno scelto di collaborare con Mosca – sono stati colti in flagrante in decine di casi, in una geografia ampia che spazia da Sofia (dove sono scoppiati sei scandali con 007 russi in un anno e mezzo, e la battuta che circola è che all’ambasciata russa non siano più rimasti diplomatici da espellere per rappresaglia) a Berlino e da Washington a Parigi.

L’attivismo di Mosca
Diversi governi e controspionaggi occidentali hanno segnalato a più riprese un’impennata dell’attività dello spionaggio russoanzi, degli spionaggi, visto che ci sono diverse agenzie in concorrenza e diversi dossier su cui lavorano, dalla caccia a informazioni tecnologiche e industriali a quelle commerciali, dalla ricerca di influencer politici fino alle spy story più classiche, quelle che riguardano i segreti militari.

Già dal numero degli arresti simili a quello avvenuto a Roma si può dedurre la portata della guerra segreta che l’intelligence russa sta conducendo in Europa e in America. Ovviamente partiamo dall’assunto che a farsi scoprire sia solo una minoranza degli agenti, anche se Christo Grozev – il giornalista investigativo che per Bellingcat ha indagato l’abbattimento del Boeing malese nel Donbass e l’avvelenamento di Navalny – ha dichiarato a Radio Svoboda di non escludere che la quota dei fallimenti sia molto elevata, sia perché i russi ricorrono ad agenti di basso livello, sia perché Mosca non è particolarmente preoccupata dai danni reputazionali, preferendo al contrario apparire come una “potenza” che infiltra agenti ovunque. Anche perché così contribuisce a minare l’unità dell’Occidente: l’intelligence della formalmente neutrale e dichiaratamente filo-putiniana Austria è già stata tagliata fuori dallo scambio di informazioni tra europei per paura che finiscano direttamente a Mosca.

In altre parole, la guerra delle spie con la Russia è un’emergenza ormai da diversi anni, eppure in Italia la reazione di molti commentatori televisivi e titoli di giornali, oltre che di esperti e opinionisti intervistati, è stata di uno stupore con venature offese. Qualcuno ha addirittura sospettato una relazione tra l’arresto del capitano di fregata diventato spia e la polemica sul vaccino russo Sputnik scoppiata tra alcuni governatori delle regioni e l’esecutivo di Mario Draghi, che vuole riaffermare l’alleanza atlantista messa in discussione da qualche esponenti del governo precedente.

“Il Paese più filo-russo del G7”
Come se l’Italia non potesse essere bersaglio delle minacce russe al pari di altri Paesi membri dell’Ue e della Nato, come se i problemi di sicurezza e di relazioni internazionali su cui esiste una linea concordata a Bruxelles e condivisa da altre capitali europee non riguardassero Roma. Come se le aperture bipartisan fatte da tutti i governi italiani dell’ultimo ventennio al Cremlino, oltre a meritare all’Italia il titolo di “ventre molle” e “Paese più filo-russo del G7” le avessero fatto guadagnare una sorta di immunità nella nuova Guerra fredda.

È un mantra storico e radicato della politica estera italiana, quel classico “italiani brava gente” declinato in diplomazia: noi non siamo quelli aggressivi, siamo pacifisti e non dispensiamo lezioncine a nessuno, mostriamo il volto più comprensivo e dialogante e proponiamo un dialogo che passa dai commerci e dalla cultura, apparteniamo a una raffinata civiltà millenaria che ci ha insegnato a non inimicarci nessuno, a differenza dei cowboy del Nuovo Mondo, dei bellicosi galli e degli imperialisti d’Albione, e anche quando partecipiamo alle guerre lo facciamo soltanto come missione di pace.

La stessa reazione stizzita si è avuta alla recente dichiarazione di Joe Biden che ha dato del “killer” a Vladimir Putin, dove a scandalizzare un certo pubblico è stata molto più la franchezza brutale del presidente americano che i motivi per i quali il suo collega russo si è meritato la qualifica di assassino. C’è voluto un agente dello spionaggio russo per ricordare che l’Italia è uno dei fondatori dell’Unione europea, che è un membro della Nato e che aderisce a valori e programmi di un Occidente che la Russia attuale considera nemico.

Foto di copertina ANSA/QUIRINALE PRESS OFFICE/PAOLO GIANDOTTI