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I dubbi sulla riuscita

Non solo truppe: il processo di pace afghano fa tappa in Turchia

16 Apr 2021 - Alessia Chiriatti - Alessia Chiriatti

Il processo di pace afghano, dopo l’annuncio del presidente Joe Biden sul ritiro delle truppe statunitensi e alleate (una “decisione storica”, come ha sottolineato il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio), a 20 anni dall’impegno nel Paese, assume ad oggi contorni di ancora grande incertezza: la situazione sul campo resta instabile, con i talebani che continuano a guadagnare terreno e le forze di sicurezza afghane che, come riferito anche dal Times – e malgrado gli sforzi degli ultimi anni -, non riescono ad essere ancora indipendenti e a sostenersi da sole.

Il ritiro dall’Afghanistan inizierà il 1° maggio ed entro settembre, nella data iconica dell’11, ci sarà poi il ritiro totale del contingente della Nato, con Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Turchia in prima linea.

Dopo una prima data fissata al 16 aprile, il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha reso noto che – provvisoriamente – a partire dal 24 aprile (e fino al 4 maggio) si terranno a Istanbul gli incontri di pace che la Turchia ha convocato assieme a Qatar e Nazioni Unite. A breve Ankara, inoltre,  nominerà un inviato speciale per l’Afghanistan.

Il ruolo di Ankara
Questi ultimi dialoghi si inseriscono all’interno del centenario delle relazioni diplomatiche turco-afghane. Un rapporto storico rientrato anche all’interno di una recente conversazione telefonica avvenuta tra Çavuşoğlu e il suo omonimo afghano, Mohammad Hanif Atmar. Fonti diplomatiche turche riferiscono che il ministero degli Esteri di Ankara sta lavorando sui Paesi che aderiranno al tavolo, sul livello dei rappresentanti e sull’ordine di partecipazione alla Conferenza di Istanbul. Un lavoro di tessitura diplomatica al centro anche di altre conversazioni telefoniche tra Turchia, Afghanistan e Qatar.

L’interesse generale resta quello di sostenere un Afghanistan sovrano, indipendente e unificato: per raggiungere questo obiettivo, saranno fondamentali i negoziati intra-afghani in corso a Doha (a ormai più di un anno dallo storico accordo del 29 febbraio 2020 tra l’allora segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, e il numero due dei talebani, mullah Abdul Ghani Baradar), fondamentali nel processo di riconciliazione nazionale. Çavuşoğlu considera i dialoghi futuri di Istanbul a completamento del processo di Doha.

Sperabilmente, al termine della conferenza verrà tracciata una tabella di marcia che individuerà le fasi che dovrebbero portare alla fine del conflitto, insieme ad un percorso di possibile normalizzazione istituzionale.

L’idea è che si giunga ad un cessate il fuoco duraturo che dovrebbe garantire maggiore stabilità al governo, e di sostituire il governo afghano con un’amministrazione ad interim in attesa di nuove elezioni, forti di una nuova costituzione. Tuttavia, gli esperti hanno forti dubbi sulla riuscita del dialogo, proprio a fronte del rinvigorirsi dei talebani, già registratosi durante quest’ultimo anno, e probabilmente ancor di più una volta che le forze alleate lasceranno il paese e nonostante le promesse di Biden di continuare a sostenere il governo di Kabul.

L’impegno militare (e non solo)
La Turchia è impegnata con le sue truppe in Afghanistan, seguendo l’impegno internazionale nella lotta al terrorismo e in particolare a seguito delle bombe del 2003 esplose a Istanbul (al consolato generale britannico e alla banca inglese Hsbc), rivendicate da al-Qaeda, che causarono la morte di 27 persone e 450 feriti. In Afghanistan l’impegno turco si è rivelato anche nella leadership della Regional Command Capital dell’Isaf (International Security Assistance Force), provvedendo alla sicurezza nella capitale Kabul e nella provincia di Wardak. Nonostante l’insistenza statunitense negli anni passati, Ankara non ha mai impiegato truppe in operazioni di combattimento.

La Turchia funge inoltre da mediatore tra Afghanistan e Pakistan per le questioni legate al terrorismo. Il vertice trilaterale del Processo di Istanbul tra Afghanistan, Pakistan e Turchia è iniziato nel 2007, mirando a risolvere i problemi derivanti dalle accuse del governo afghano rivolte al ruolo dei talebani afgani in Pakistan.

C’è, ancora una volta e anche su questo fronte della politica estera di Erdoğan, l’interesse di Ankara a ritagliarsi un ruolo non certo marginale come attore regionale in grado di gestire processi complessi.

Venti di guerra
Se è ancora troppo presto per dedurre come nella pratica si evolverà la situazione geopolitica nella regione, Erdoğan mira a esercitare il ruolo di player strategico per Afghanistan e Libia, considerando anche il ruolo centrale che la Russia (che ha intanto programmato una conferenza sull’Afghanistan alla fine del mese) avrà in Siria e per le relazioni economiche con Ankara.

A preoccupare gli esperti militari, però, sono soprattutto le possibili recrudescenze delle minacce terroristiche in Afghanistan, che motivarono venti anni fa l’invio di centinaia di migliaia di truppe. A questa già difficile agenda, va aggiunto che i talebani hanno reso noto che non prenderanno parte ad alcuna conferenza di pace.

Foto di copertina EPA/HEDAYATULLAH AMID