La Russia non è interessata ad avere un dialogo costruttivo con l’Europa
Nel corso degli anni ci sono stati numerosi tentativi occidentali di ripristinare le relazioni con la Russia. Tutti hanno fallito, nonostante una serie di concessioni che l’Occidente ha fatto al Cremlino: l’allargamento della Nato all’Ucraina e alla Georgia è stato sospeso; gli Stati Uniti e l’Unione europea sono rimasti passivi se non del tutto assenti nella guerra tra Armenia e Azerbaigian, consentendo alla Russia di dispiegare le sue forze di cosiddetto peacekeeping; l’Ue sembra accettare gli interessi della Russia in Libia, e più in generale in Africa e in Serbia; Mosca è stata riammessa nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa; le sanzioni introdotte nel 2014 hanno finora preso di mira perlopiù personalità non chiave, con influenza limitata sulle vita politica ed economica del Paese; il gasdotto Nord Stream 2 è prossimo al completamento; mentre, prima del caso Navalny la Francia aveva, insieme all’Italia, chiesto un impegno strategico per una maggiore cooperazione economica con la Russia.
Riassumendo, insomma, in risposta all’aggressione esterna e al crescente autoritarismo in casa, l’Ue ha basato la sua politica sul cosiddetto selective engagement, l’impegno selettivo che generalmente soddisfa gli interessi e le sensibilità di sicurezza del Cremlino nello spazio post-sovietico. L’ultima visita dell’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza comune Josep Borrell a Mosca – e i messaggi sbagliati da lui recapitati – ha offerto una dimostrazione pratica della politica accomodante di Bruxelles nei confronti della Russia.
In risposta, Mosca ha dimostrato però ancora una volta – al contrario di quanto sostenuto nell’analisi di una docente della Rudn recentemente pubblicata su questa rivista -, di non essere interessata a un dialogo costruttivo con l’Occidente. Al contrario, il Cremlino ha usato la visita di Borrell per umiliare l’Ue. Lavrov ha definito Bruxelles un partner inaffidabile che cerca di interferire nella situazione interna della Russia, ha criticato Bruxelles per la sua politica delle sanzioni e detto che l’Ue sta usando metodi del passato coloniale. Il momento peggiore della visita è stato segnato dalla domanda provocatoria di un giornalista di Sputnik, che ha costretto Borrell a condannare la politica statunitense nei confronti di Cuba e a evidenziare le differenze tra Bruxelles e Washington. Nello stesso giorno, Mosca ha espulso diplomatici tedeschi, svedesi e polacchi per una presunta presenza alle manifestazioni pro-Navalny a Mosca.
Sulla via del ritorno, Borrell ha concluso che Mosca non è interessata ad avere un dialogo costruttivo con l’Ue; conclusione che poteva già trarsi nel 2012, quando Putin si convinse che dietro le proteste contro di lui ci fosse l’Occidente. La democrazia e l’idea di partnership con l’Occidente furono abbandonate già allora, su spinta del Cremlino. Anche le relazioni di Europa e degli Usa con Mosca si sono progressivamente deteriorate a causa di varie crisi, iniziate con l’invasione della Georgia nel 2008, proseguite con l’invasione della Crimea nel 2014 e con il conflitto in Ucraina, con la guerra ibrida del Cremlino contro l’Occidente fino alle presunte interferenze nelle elezioni della comunità transatlantica.
Nel 2014, gli Usa hanno imposto sanzioni punitive cercando di rafforzarle di anno in anno e colpendo di conseguenza il gasdotto Nord Stream 2; la situazione è poi ulteriormente peggiorata dopo il caso Skripal 2018 e, negli ultimi mesi, dopo l’avvelenamento dell’oppositore Alexey Navalny e il suo successivo arresto. Alla fine del 2020, Washington ha pure affermato che un gruppo di hacker sostenuto dall’agenzia di intelligence russa Svr aveva effettuato un attacco informatico ai danni del governo federale Usa, mentre un report dell’intelligence declassificato a marzo ha dichiarato che la Russia ha cercato di manipolare le elezioni presidenziali del novembre 2020 con l’obiettivo di mantenere Donald Trump al potere.
Sette anni dopo l’annessione della Crimea e dall’inizio del conflitto in Ucraina, la Russia sta muovendo adesso verso una escalation militare nel Donbass che potrebbe variare da tentativi di intimidazioni a operazioni militari localizzate per poi schierare cosiddetti peacekeeper russi o persino a una guerra su larga scala finalizzata all’annessione di Donetsk e Lugansk nella Federazione russa.
La Russia ha iniziato a spostare truppe e armi al confine con l’Ucraina, mentre il ministro della Difesa russo Sergej Shoigu ha annunciato che, in linea con il piano di addestramento delle Forze armate, sono iniziati i controlli delle unità militari con l’obiettivo di “difendere” i cittadini russi nelle regioni sopracitate (si tratta, è bene ricordarlo, di cittadini ucraini a cui il Cremlino ha consegnato passaporti russi).
All’inizio di aprile la missione speciale di monitoraggio dell’Osce ha registrato un totale di 1021 violazioni del cessate il fuoco, comprese oltre 500 esplosioni. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha invitato la Russia a smettere di flettere i muscoli e si è impegnato per una soluzione pacifica del conflitto. In risposta, Lavrov ha messo in guardia contro la dissoluzione dell’Ucraina. Putin e Shoigu si sono in seguito incontrati nella taiga siberiana: i media statali hanno mostrato le immagini della loro passeggiata nella foresta; difficile credere che il loro obiettivo fosse soltanto prendere una boccata d’aria fresca.

Il loro viaggio ha coinciso con i media locali che hanno cominciato a diffondere messaggi sulla “preparazione dell’Ucraina alla guerra”. Ue e Usa hanno reagito alle minacce nel Donbass e Germania e Francia hanno invitato la Russia a partecipare a una riunione dell’Osce per chiarire che le sue esercitazioni militari non fossero finalizzate a una guerra su vasta scala. Mosca ha rifiutato di partecipare.
A Washington sono consapevoli che la sfida posta dalla Russia è qui per restare. Joe Biden ha prima chiamato Putin un assassino e poi ribadito il sostegno Usa all’integrità territoriale ucraina, offrendo comunque all’omologo russo la possibilità di un incontro in territorio neutro. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha detto alla sua controparte ucraina che gli Usa non lascerebbero Kiev sola in caso di escalation da parte della Russia. In un incontro, il segretario di Stato Antony Blinken e Borrell hanno convenuto di affrontare in modo coordinato il comportamento provocatorio di Mosca: gli alleati hanno anche dichiarato di essere impegnati nella questione relativa alla difesa dei diritti umani in Russia.
Allo stesso tempo, le parti sarebbero pronte a coinvolgere Mosca su questioni di comune interesse. Le parole devono essere seguite da passi concreti perché serve una nuova strategia transatlantica nei confronti del dossier ucraino e, in generale, della Russia. Cercare di prevedere cosa farà Putin in Ucraina o in patria è un esercizio inutile. L’Occidente ha bisogno di una strategia per affrontare sfide già poste dalla Russia alla comunità transatlantica: il trattamento riservato a Navalny e la repressione dei manifestanti e della società civile russa richiedono una revisione urgente dei principi guida dell’Ue nel rapporto con il Cremlino; una strategia, cioè, che risponda agli illeciti internazionali commessi dalla Russia e che serva come misura preventiva per scoraggiare future aggressioni. Alla luce del suo ultimo viaggio a Mosca, Borrell ha detto che Bruxelles deve respingere, contenere e impegnarsi (“push back, contain and engage”) con la Russia. Ma l’Ue dovrebbe prima elaborare una strategia chiara per la propria condotta in politica estera, basata sui diritti umani e la democrazia da difendere come valori universali.
In conclusione, una strategia transatlantica potrebbe essere strutturata così: coinvolgimento attivo di Usa e Ue nel formato Normandia finalizzato all’implementazione dell’accordo di Minsk 2 sull’Ucraina; rafforzamento della resilienza dell’Ucraina nello sviluppo della democrazia e nei settori militare ed energetico, e infine miglioramento del meccanismo di sanzioni contro la Russia, così da includere gli oligarchi vicini al Cremlino, e sospensione della costruzione di Nord Stream 2. Nulla di tutto ciò implica che Unione europea e Stati Uniti debbano evitare un impegno selettivo – a livello multilaterale e nel quadro di organizzazioni internazionali -, ma questo impegno dovrebbe registrarsi su questioni limitate, come appena accaduto con il Trattato New Start o, ad esempio, con il cambiamento climatico.
Foto di copertina EPA/ALEXEI DRUZHININ/SPUTNIK/KREMLIN POOL