“Hans Küng ci ha insegnato a uscire dal ghetto cristiano”
“Non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni. Non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni. Non c’è dialogo tra le religioni senza criteri etici globali. Non c’è sopravvivenza del nostro globo senza ethos globale, senza un’etica mondiale”. L’eredità di Hans Küng, teologo, presbitero cattolico e al contempo tra i più critici verso la Chiesa cattolico-romana (scomparso nei giorni scorsi a 93 anni), può essere riassunta in questa sintesi del suo Progetto per un’etica mondiale.
Pawel Gajewski, professore di Teologia delle Religioni della Facoltà Valdese di Teologia a Roma e consulente teologico delle Chiese protestanti in Europa, considera Küng uno dei suoi grandi maestri, ed è convinto che abbia lasciato un patrimonio prezioso per affrontare il mondo globalizzato del terzo millennio. Accetta di conversare con AffarInternazionali.
Küng affermava che una politica globale ha bisogno di un’etica globale e che nelle grandi trasformazioni geo-politiche in atto, occorresse coinvolgere le Chiese, le religioni. Oggi questo pensiero è condiviso?
Oggi la narrazione dominante presenta le religioni come irrilevanti rispetto ai processi storici. Küng è stato controcorrente mettendo in evidenza, invece, la rilevanza nel XXI secolo delle religioni, del sacro, dei riti, delle liturgie. Anche se critico delle religioni e dei fenomeni deleteri che hanno prodotto e possono tuttora produrre in termini di conflitti, Küng ha dimostrato l’importanza di prendere sul serio le istanze che vengono dalle religioni, dalle fedi vissute. È stato uno dei pochi che durante il conflitto dei Balcani, sin dal primo momento, documentò quanto fosse importante il ruolo che stavano giocando le diverse comunità religiose nella guerra e di quanto una tempestiva collaborazione ecumenica delle Chiese avrebbe potuto contribuire a una più tempestiva e meno traumatica soluzione politica.
Sulla scena mondiale si stanno imponendo Paesi non cristiani, come Cina e India. Come riteneva Küng di dover proseguire il dialogo interreligioso nel XXI secolo? E come attrezzare le religioni alla sfida della modernità?Merito di Küng, del suo Istituto di ricerca ecumenica, della sua Fondazione Weltethos, è di averci aiutato a uscire dal ‘ghetto cristiano’. Spesso siamo convinti che solo noi cristiani siamo aperti al dialogo, ma non è così. Anzi, noi cristiani abbiamo bisogno delle altre religioni per uscire da certi cliché, da percezioni sbagliate, superficiali, da visioni non reali. Pensiamo alla parzialità con cui viene rappresentato il subcontinente indiano. L’India, per esempio, ha enormi sacche di povertà, ma ha una delle culture più antiche e più evolute, oltre ad essere oggi una delle grandi potenze. Küng ci dice di uscire dai luoghi comuni, ci esorta a non avere visione eurocentrica, ma uno sguardo attento alle altre realtà, proprio quelle che non conosciamo o conosciamo poco e male. La secolarizzazione è galoppante, ma non dappertutto sta producendo gli stessi effetti sulla dimensione religiosa. È evidente già nella stessa Unione europea, in nazioni come Croazia, Slovenia, Ungheria, Polonia. Non è scontato che la secolarizzazione produca ateismo e marginalità delle chiese e delle religioni. È sempre più diffuso il desiderio di dare spessore spirituale alle proprie vite. Le istituzioni religiose possono essere in crisi, ma non lo è l’afflato spirituale. Küng ha cercato di dimostrare che anche gli altri universi religiosi al di fuori del cristianesimo possono rispondere alla domanda di senso. E poi ci sono Paesi, come il Brasile, in controtendenza rispetto alla contrazione del numero dei fedeli. Anche negli Stati Uniti resta una minoranza la popolazione che si autodefinisce atea o agnostica. Ecco, Küng ci offre una prospettiva globale, mondiale e ci consegna l’idea di un’etica globale non legata alle confessioni religiose.
Küng credeva che proprio la convivenza pacifica tra le religioni possa essere il fondamento della pace nel mondo? Ma le religioni hanno in sé un detonatore esplosivo. Alcuni lo vedono più radicato nei tre grandi monoteismi, ma il comportamento di Aung San Suu Kyi verso i Rohingya o il fanatismo di certo buddismo radicale in Sri Lanka dimostra che questo confinamento è errato. O no?
Küng ci ha ben mostrato che le religioni hanno un potenziale distruttivo, ma anche di energia positiva. È partito proprio dall’analisi dei conflitti dimostrando il nesso tra religioni e violenza. Ma la violenza si supera parlando e agendo insieme per il bene di tutti. La violenza non appartiene solo ai tre grandi monoteismi. E poi Küng ha spiegato bene che l’uno-nomos è in tutte le religioni. Tutte le religioni sono monoteiste.