Come cambia la politica Usa nell’Africa subsahariana con Biden
Sebbene nel suo primo discorso in materia di politica estera Biden non abbia esplicitamente menzionato l’Africa subsahariana, alcuni segnali fanno ritenere che essa abbia invece acquistato una rinnovata centralità: Biden ha infatti cancellato i “travel ban” di Donald Trump verso molti Paesi subsahariani, ha sostenuto la candidatura della nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala come direttrice generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) ed ha nominato Linda Thomas-Greenfield, già Assistente Segretario di Stato per gli Affari africani ed ambasciatrice in Liberia, come ambasciatrice alle Nazioni Unite.
In particolare, il videomessaggio inviato in occasione del 34°vertice dell’Unione africana (Ua) è un utile indicatore dell’importanza che l’Africa avrà per la Casa Bianca. Nel messaggio, Biden ha delineato, seppur brevemente, i princìpi e gli obiettivi della nuova partnership con i Paesi africani: solidarietà, mutuo rispetto, multilateralismo e cooperazione con gli organismi regionali per affrontare le sfide globali, rafforzare le istituzioni democratiche e promuovere pace e prosperità.
L’eredità di Trump
La politica della nuova amministrazione nell’Africa subsahariana deve fare i conti con l’eredità di Trump, che non ha certamente incluso questa regione tra le priorità della sua politica estera. La strategia americana vedeva l’Africa subsahariana non come uno spazio autonomo in cui interagire, bensì solamente come uno dei tanti teatri in cui intervenire per contrastare l’avanzata della Cina e della Russia, veri rivali strategici degli Stati Uniti.
In linea con questo approccio, Trump ha promosso una revisione dell’impegno securitario nell’Africa subsahariana, nella convinzione che le risorse economiche e militari impiegate nella lotta al terrorismo dovessero essere utilizzate in risposta alla crescente influenza di Mosca e Pechino.
Proprio nel dicembre 2020, in piena transizione, Trump ha ritirato le forze di stanza in Somalia. Secondo l’amministrazione precedente, l’impegno nella lotta al terrorismo nell’Africa subsahariana sarebbe continuato attraverso un maggior affidamento sui partner locali ed europei, così da ridurre i costi, le truppe e il rischio di perdere vite umane. Questa strategia ha mostrato due grandi limitazioni: la prima, interna, dovuta all’opposizione del Congresso; la seconda, riconducibile ad un’ambiguità di fondo: ridurre l’impegno securitario significa lasciare un vuoto che rischia di essere colmato proprio dalla Cina e dalla Russia.
Ripensare l’hard power, rilanciare il soft power
La politica di Biden nell’Africa subsahariana mira a rivitalizzare una relazione che per molti versi si è deteriorata e a riproporre gli Stati Uniti come partner preferenziale nella difficile partita dello “scramble for Africa”.
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, Biden dovrà in primo luogo fare i conti con l’ambiguità di fondo lasciata in eredità da Trump. Se sul piano strategico la posizione di Biden nei confronti della Russia e della Cina non è nella sostanza diversa da quella del suo predecessore, questo non significa che Biden condivida l’approccio securitario proposto da Trump in Africa.
Anzi, la nuova amministrazione dovrà proprio superare questa ambiguità, mostrando come la competizione tra superpotenze e la lotta al terrorismo nell’Africa subsahariana siano due facce della stessa medaglia. Concretamente, questo si tradurrà nella necessità di elaborare delle nuove strategie di sicurezza e di difesa nazionali mirate a confermare l’impegno securitario americano e promuovere un maggior coordinamento regionale. L’amministrazione Biden rivedrà quindi il disimpegno militare di Trump, anche alla luce della forte opposizione manifestata dal Congresso, ma è difficile immaginare che questo si tradurrà in un ribaltamento del tradizionale approccio “flessibile” adottato dalla Casa Bianca nell’Africa subsahariana.
In secondo luogo, Biden cercherà di rilanciare il soft power americano. La nuova amministrazione mira ad annullare i tagli alla cooperazione allo sviluppo imposti dalla precedente per un’Africa più prospera e sicura. Il nuovo soft power americano si tradurrà anche in una nuova partnership basata sui valori comuni. Il summit per la democrazia che Biden ha detto di voler organizzare nel primo anno del suo mandato, sarà l’occasione per restaurare la leadership morale degli Stati Uniti ed è probabile che molti Paesi dell’Africa subsahariana saranno invitati. È evidente che questo summit avrà anche altri due destinatari, seppur non invitati: la Russia e la Cina. L’obiettivo è infatti quello di formare un argine all’influenza “maligna” di queste due potenze in Africa, creando una narrazione alternativa, tale da contrastare le campagne di disinformazione, l’influenza militare russa e la diplomazia cinese della “trappola del debito”.
I benefici del multilateralismo
La politica di Biden in Africa si inserisce nel quadro più ampio del ritorno al multilateralismo. Non bisogna infatti dimenticare che i Paesi dell’Africa subsahariana sono tra quelli più colpiti delle sfide globali, quali il cambiamento climatico, le crisi sanitarie e la gestione dei flussi migratori. La decisione di rientrare nell’Accordo di Parigi e nell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di unirsi al programma Covax sarà da beneficio ai Paesi subsahariani e darà un nuovo impulso anche alla cooperazione regionale.
In questo quadro, Biden cercherà anche di sostenere l’African Continental Free Trade Area, per rafforzare l’integrazione economica, il commercio e gli investimenti americani, ponendosi, in questo campo, in linea con l’iniziativa “Prosper Africa” dell’amministrazione precedente.
Foto di copertina EPA/SHAWN THEW