Il viaggio di papa Francesco in Iraq nel segno di Abramo
Il ritorno nel mondo del Papa confinato dalla pandemia coincide con l’arrivo di Francesco in Iraq. È il primo viaggio di un pontefice nello Stato mediorientale e il primo di Bergoglio in un Paese a maggioranza sciita. Oggi, come prima tappa, il Papa farà visita al presidente della Repubblica Barham Salih, quindi sarà la volta di vescovi, sacerdoti e religiosi della piccola comunità siro-cattolica irachena, raccolti nella cattedrale di Nostra Signora della Salvezza di Baghdad. Oltre a Erbil, Mosul e Qaraqosh, nel viaggio di Francesco sarà centrale l’incontro interreligioso che si terrà domani nella piana di Ur, luogo biblico della nascita di Abramo e, per questo, snodo cruciale della storia del cristianesimo, dell’ebraismo e dell’Islam.
La visita pastorale di Francesco è traduzione missionaria dell’enciclica “Fratelli tutti” e prosieguo del cammino iniziato con la visita all’università sunnita al-Azhar in Egitto e continuato con la firma del documento sulla fratellanza umana nel 2019. Un dialogo incessante che mira a riunire l’intera umanità in un’unica famiglia e che non può dimenticare la faglia interna all’Islam globale, tra sunniti e sciiti e i rapporti tra musulmani e cristiani. Un impegno che papa Francesco persegue soprattutto laddove le comunità cristiane e cattoliche, come in Iraq e, in generale, in Medio Oriente, convivono con un’ampia maggioranza islamica.
Il viaggio in Iraq, inoltre, serve a Bergoglio a toccare con mano le ferite della “terza guerra mondiale a pezzi”, così come l’aveva definita durante il volo aereo di ritorno dalla penisola coreana nel 2014, proprio in riferimento agli eventi in corso in Siria e all’interminabile questione israelo-palestinese. Dal 2003, a partire dall’invasione statunitense, l’Iraq ha vissuto quasi un decennio di guerra interna al Paese che ha favorito l’avanzata dello Stato islamico, catalizzando interessi regionali e internazionali. Che, ancora oggi, continuano a stagliarsi sull’intero Medio Oriente.
Cittadinanza come categoria globale
Quella che per alcuni potrebbe essere soltanto una fissazione, per Francesco è metodo. Le chiese dello “zero virgola”, come quella irachena, sono i punti di riferimento della bussola del pontefice. In Iraq, i cattolici costituiscono una comunità di piccole dimensioni, immersa in un contesto prevalentemente islamico. I musulmani, però, sono a loro volta divisi tra una maggioranza sciita e una minoranza sunnita, senza tener conto della presenza di una esigua comunità di yazidi – comunque numericamente più consistente dei cristiani – e di zoroastriani.
Il Papa, però, è ben lontano dalla retorica delle crociate; anzi, vi si oppone. La difesa dei cristiani in Medio Oriente, per molti leader globali – da Vladimir Putin all’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – è stato spesso un prezioso strumento retorico per legittimare operazioni militari. Al contrario, per Bergoglio, la difesa dei cristiani e di tutte le minoranze passa necessariamente attraverso la categoria globale di cittadinanza, incastonata nel documento sulla fratellanza umana.
La cittadinanza, che impone e consegna a tutti in maniera indistinta diritti e doveri, sottrae la convivenza umana allo scontro di interessi e di tribalismi. Come scrive lo stesso Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”, la cittadinanza si basa “sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia”, e per questo occorre “stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze”. Vi è una convivenza giusta, dunque, soltanto se vi è eguaglianza: la separazione tra “buoni” e “cattivi”, tra “noi” e “loro”, alimenta le lotte, non la pace.
Una vera pace per il Paese
Creare i presupposti per una piena cittadinanza in Medio Oriente e in Iraq significa superare la conflittualità interna alla regione e al Paese. La “terza guerra mondiale a pezzi”, dopo la ritirata dell’Isis, sembra non riguardare più da vicino l’Iraq, adesso in bilico nel mezzo a una pace precaria.
La costruzione di una vera pace, per papa Francesco, non prevede il raggiungimento di equilibrio di potenza che renda sconveniente per tutti la ripresa delle armi. È, al contrario, una pace sostenibile, che non conserva al suo interno i germi di un prossimo conflitto: come scritto da Kant, ogni conclusione di pace “che sia stata fatta con la riserva segreta della materia di una guerra futura”, non può essere una vera pace.
Per questo motivo, Bergoglio vede nell’alleanza delle religioni la strada per raggiungerla. Anche questo tema, sviluppato all’interno dell’enciclica “Fratelli tutti”, è parte integrante della visita del pontefice in Iraq. Del resto, sulla piana di Ur, la culla della nostra civiltà, le tre religioni abramitiche sono ancora profondamente intrecciate. Un filo che Francesco vuol provare a riannodare.
Foto di copertina EPA/MURTAJA LATEEF