Un “passaporto vaccinale” a sostegno della ripresa economica
L’esigenza di conciliare il contenimento della pandemia con il salvataggio di interi settori economici – a cominciare da turismo, ristorazione e spettacolo – impone una seria riflessione sul cosiddetto passaporto vaccinale. In Israele è già una realtà. Nell’ambito dell’Unione europea l’idea era stata lanciata dal premier greco Kyriakos Mitsotakis e fatta propria dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. La Commissione ha studiato i profili rilevanti e presenterà una proposta il prossimo 17 marzo.
Favorevoli sono soprattutto i Paesi che vivono di turismo, fra cui l’Italia e altri Stati mediterranei. Un convinto sostenitore è il cancelliere austriaco Sebastian Kurz. Ma nella stessa Austria, come in Germania e in Francia, molte voci si sono levate per denunciare il carattere discriminatorio di una simile misura nei confronti di coloro che, senza colpa in quanto non appartenenti a categorie a rischio, rimarrebbero esclusi per parecchi mesi da simili forme di normalizzazione della vita e delle libertà personali (il problema dovrebbe essere superato nel prossimo autunno, quando si prevede che il fabbisogno di vaccini sia coperto). C’è anche chi vi vede una inammissibile penalizzazione dei no-vax, e quindi un attentato contro la libertà di opinione, da impedire mediante ricorsi alla Corte costituzionale.
Le critiche all’iniziativa
A questa concezione livellatrice si potrebbe opporre che gli anziani vaccinati per primi hanno ormai poco tempo per visitare nipotini lontani o le Piramidi o il Canal Grande; e che hanno vissuto con maggiore angoscia, perché più a rischio, l’avanzare della pandemia. E che medici e infermieri, ora prioritari nei programmi di vaccinazione, meritano non solo gli applausi dai balconi, ma anche qualche svago in più dal momento che ciò non comporta rischi per altri concittadini.
Ma, più importante, restituire ai ristoranti, bar, operatori turistici e teatri la possibilità di recuperare gradualmente una parte della loro clientela, prima di arrivare al precipizio del fallimento, deve essere una priorità sia dal punto di vista economico che da quello sociale. La solidarietà verso queste categorie deve far premio sul principio del trattamento uniforme di tutti i cittadini-clienti. Altrimenti si va verso la consacrazione del diritto di invidia. A chi verrebbe in mente di vietare a tutte le persone di robusta costituzione fisica di andare in montagna solo per non far torto agli asmatici ?
Ci sono obiezioni più serie, ma superabili. Come ha osservato il direttore per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della sanità, non sappiamo quanto duri l’immunizzazione; né è provato che il vaccino garantisca al 100% la non-trasmissione. Non possiamo escludere che in taluni Paesi si raggiungano picchi di diffusione del virus tali da consigliare un nuovo blocco totale degli spostamenti. Una nuova variante potrebbe annullare l’efficacia di un tipo di vaccino e non di altri. Nei sistemi federali le decisioni in materia sono lasciate alle autorità regionali e presentano differenze.
Per questo un vero e proprio passaporto che dia il diritto di entrare in un paese terzo dell’Ue e tornare nel luogo di residenza senza doversi sottomettere a quarantena appare poco fattibile.
L’alternativa
Sembrerebbe invece ragionevole la proposta di dotare i vaccinati e i guariti di certificati in più lingue, validi sull’intero territorio dell’Unione, in base ai quali i singoli governi nazionali o regionali consentiranno fino ad una certa data di viaggiare, andare a concerti o nei musei, in piscina o a cena fuori , modulando volta per volta limiti e modalità. Riservandosi anche di sospendere interamente, se necessario, qualsiasi trattamento di favore. E persino di differenziare fra diversi vaccini se le statistiche avranno dimostrato livelli di efficacia diversi.
Tali certificati dovrebbero indicare se e quando il titolare è stato vaccinato (precisando con quale prodotto), è guarito dall’infezione, o è risultato negativo al tampone. Ma è evidente che quest’ultima circostanza non può essere assimilata alle altre due, potendo essere superata da un contagio avvenuto pochi giorni o ore dopo il test.
Prospettive per il futuro
Anche la vaccinazione non garantisce al 100% l’immunità; pertanto la libertà consentita ai vaccinati di viaggiare e di frequentare palestre, ristoranti e teatri avrà un costo in termini di contagi. Si potrebbe discutere se valga la pena di pagare questo prezzo sul piano sanitario a beneficio di alcuni settori dell’economia e della salute mentale dei cittadini, qualora la pandemia fosse destinata ad esaurirsi entro l’anno.
Ma visto che dobbiamo prepararci a convivere a medio termine con il Covid e sue probabili varianti future – tanto è vero che i governi stanno organizzando l’acquisto o la produzione in loco di quantitativi di vaccini sufficienti per più anni -, introdurre questo strumento di relativa normalizzazione, temperato dal mantenimento di determinate precauzioni che sinora abbiamo considerato temporanee (mascherine al chiuso, smart working dove possibile e così via), sarà indispensabile per impedire che vadano in rovina settori importanti della vita economica e milioni di famiglie di piccoli imprenditori e lavoratori dipendenti.
Fermo restando che l’Unione deve assicurare l’uniformità dei documenti vaccinali ma non delle facilitazioni che ne derivano, dovendo queste rimanere nella discrezione dei singoli Stati; con la possibilità, anzi, di regole più restrittive adottabili da parte di autorità locali, linee aeree, singole aziende o istituzioni.
Foto di copertina EPA/BEN WENZ