Stretta su Hong Kong ed economia: cosa ha deciso l’Assemblea del popolo
L’Assemblea del popolo, uno degli appuntamenti cardine della politica cinese, ha concluso i propri lavori lo scorso giovedì 11 marzo. Quest’anno l’appuntamento era particolarmente atteso non solo a causa delle numerose sfide che il partito si è trovato a dover affrontare recentemente – dalle proteste di Hong Kong alla pandemia -, ma anche per il significato simbolico dato da una serie di congiunture rilevanti.
Oltre alla presentazione del quattordicesimo piano quinquennale, che detterà le linee guida dello sviluppo del Paese fino al 2025, a luglio di quest’anno il Partito comunista cinese celebrerà i 100 anni dalla sua fondazione, una data che è stata spesso indicata dai vertici del partito come un momento di svolta per il Paese.
Dalla quantità alla qualità
I contenuti del piano quinquennale non hanno riservano grandi sorprese. Il programma sembra essere stato bilanciato per poter accomodare le grandi ambizioni del partito – soprattutto quelle del presidente Xi Jinping – e per fornire misure pragmatiche che aiutino nel rilancio dell’economia. Il rallentamento della crescita economica della Cina e l’ulteriore incertezza portata dalla pandemia hanno reso fondamentale un ridimensionamento degli obiettivi economici di Pechino.
Ciò nonostante, tale ridimensionamento è stato calibrato anche in funzione della transizione economica che il Paese sta attraversando, un enorme sforzo per poter spostare il cardine dello sviluppo dalla quantità alla qualità. In questo senso i target economici fissati dal governo ricopriranno un ruolo secondario rispetto ai parametri utilizzati per calcolare lo sviluppo “qualitativo” del proprio sistema economico, che si concentrerà in primo luogo sulla produzione tecnologica. Questo non vuol dire che il partito abbia rinunciato a fissare i propri obiettivi.
Indipendenza tecnologica e spesa militare
Il premier Li Keqiang ha annunciato che per il 2021 ci si aspetta una crescita del Prodotto interno lordo del 6% – una cifra conservatrice se si pensa ai bassi livelli di crescita dell’anno scorso e la successiva ripresa – e la creazione di 11 milioni di nuovi posti di lavoro entro la fine dell’anno. Tuttavia, in rottura con il passato, le parole del premier cinese e la decisione di non adottare un obiettivo di crescita per il prossimo periodo (2021-2015) lasciano intendere che gli obiettivi di crescita non saranno il parametro fondamentale per misurare le performance del Paese (e quindi anche del Partito comunista).

È nella qualità e nelle aree evidenziate come di maggior interesse che invece si rivela l’ambizione di Xi. L’indipendenza tecnologica è indubbiamente la priorità che trapela preponderatemene nella bozza del piano quinquennale e degli obiettivi di lungo termine per il 2035. L’incremento degli investimenti per la ricerca e lo sviluppo rappresentano la determinazione del governo cinese a raggiungere il primato nello sviluppo di nuove tecnologie e al conseguimento dell’indipendenza tecnologica in settori – come quello dei semiconduttori – in cui la Cina dipende ancora in larga parte dagli Stati Uniti. A questo si aggiunge la decisione di allocare il 6,8% del Pil per la spesa militare portandola a 209 miliardi di dollari per il 2021, ulteriore conferma dell’impegno del governo cinese a costruire l’”esercito forte” professato nella visione di Xi Jinping.
Il nodo Hong Kong
Nonostante gran parte dei lavori dell’Assemblea siano stati dedicati alle discussioni economiche riguardanti il piano quinquennale e gli obiettivi di lungo termine per il 2035, negli ultimi giorni l’attenzione è stata immancabilmente rivolta alla riforma del sistema elettorale di Hong Kong, approvata con 2878 voti a favore e uno solo contrario. Nell’estate del 2020 la promulgazione della legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong aveva già formalmente messo fine autonomia dell’isola. Da quel momento, diversi leader delle proteste a favore della democrazia sono stati arrestati, costringendo alcuni di essi a cercare rifugio all’estero.
Con la decisione di giovedì, il governo di Pechino mette di fatto la parola fine all’autonomia politica di Hong Kong creando quello che è stato definito “un sistema elettorale democratico con caratteristiche di Hong Kong”, ovvero un sistema elettorale non democratico. La riforma prevede l’espansione del comitato elettorale formato da rappresentanti, 300 per gruppo, dei gruppi di interesse dell’isola: business, professionali, sociali e politici più i nuovi 300 esponenti leali a Pechino.
Inoltre, i 117 seggi del Comitato elettorale scelti dai consiglieri distrettuali delle città, nei quali solitamente compariva il maggior numero di figure a favore di autonomia e democrazia, saranno probabilmente eliminati. La parte più preoccupante, tuttavia, è la creazione di un comitato esaminatore il cui compito sarà di varare i candidati per il comitato elettorale e il consiglio legislativo, anche questo riformato per includere figure pro-Pechino. Questo richiederà un’ulteriore modifica, dopo quella già avvenuta nel 2020, della “basic law” di Hong Kong che funge da costituzione per l’isola.
Foto di copertina EPA/ROMAN PILIPEY / POOL