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Annullati i processi

Il ritorno di Lula in Brasile: l’ex presidente guarda al voto del 2022

12 Mar 2021 - Francesco Tabarrini - Francesco Tabarrini

È un terremoto politico quello che si è abbattuto questa settimana sul Brasile. Con una decisione piuttosto inattesa, un giudice della Corte Suprema brasiliana ha annullato le condanne dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, ristabilendone i diritti politici e la possibilità di correre per le elezioni del 2022 contro l’attuale capo dello Stato Jair Bolsonaro.

Lo scorso 8 marzo, uno degli 11 giudici della Corte Suprema del Brasile, Edson Fachin, ha reso nota la propria decisione di dichiarare nulle le condanne inflitte all’ex presidente Lula nei due processi a suo carico per cui era stato condannato in secondo grado a 12 anni di reclusione con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro. Lula, 75 anni ed ex leader del Partito dei Lavoratori (Pt), era stato presidente della Repubblica del Brasile per due mandati dal 2003 al 2011 ed era stato travolto con il suo partito, nel 2016, dallo scandalo Lava Jato (una sorta di Tangentopoli brasiliana), che lo avevano visto al centro di un’inchiesta per corruzione che aveva svelato la fitta rete di legami tra l’azienda petrolifera di Stato Petrobras e il Partito dei Lavoratori.

Riacquisiti i diritti politici
Lo stesso ex presidente era stato poi condannato per corruzione e riciclaggio nei casi che riguardavano un triplex a Guarujà e un terreno ad Atibaia. Lula, arrestato nel 2018 con la conseguente perdita dei diritti politici e della possibilità di partecipare alle elezioni presidenziali, aveva trascorso più di un anno in carcere quando, nel 2019 era stato scarcerato a seguito della decisione della Corte Suprema che, modificando la propria giurisprudenza, aveva dichiarato legittima la detenzione degli imputati solo dopo l’esaurimento di tutti i gradi di giudizio e non a partire dalla sentenza d’appello, come era sempre avvenuto.

Nonostante Lula si sia sempre proclamato innocente e vittima, a suo dire, di un processo politico ordito nei suoi confronti per favorire la vittoria di Jair Bolsonaro alle presidenziali del 2018, la decisione del giudice Fachin non rappresenta in realtà un verdetto di innocenza. La pronuncia, infatti, non entra nel merito del caso ma si limita solo ad affermare un vizio procedurale secondo cui la tredicesima Corte federale di Curitiba (sede dei due processi Lula) non avrebbe avuto la competenza a trattare il caso, non escludendo dunque la possibilità che il procedimento giudiziario possa essere ripetuto, stavolta nella giusta sede.

Il risultato resta in ogni caso lo stesso: Lula ha riacquisito i suoi diritti politici e può correre per le presidenziali del 2022.

Lo scontro con l’uomo forte al potere
Sebbene non ci sia stato alcun annuncio ufficiale da parte dell’ex presidente, gran parte dei media e degli osservatori danno quasi per certo un ritorno di Lula sulla scena politica brasiliana. D’altra parte lo stesso leader del Pt, appena pochi giorni prima dell’annullamento dei processi, quando la notizia era già nell’aria, in un’intervista con El Paìs, aveva dichiarato: “La politica è nel mio Dna, solo quando morirò smetterò di farla”. Lo stesso Lula ha poi espresso entusiasmo per una sua possibile candidatura per il Pt, non vedendo nessun ostacolo nella sua età avanzata. “Joe Biden ha già 78 anni e io ne avrò 77 nel 2022. Se può farlo lui, posso farlo anche io”, aveva detto. Tali dichiarazioni, se sommate alle parole di fuoco su Bolsonaro. pronunciate nell’aprile scorso in uno scambio con il Guardian, forniscono un risultato che lascia pochi dubbi: in Brasile la campagna elettorale è iniziata.

Proprio Bolsonaro, che aveva già espresso la sua volontà di ricandidarsi nel 2022, è stato tra i primi ad attaccare la decisione di annullamento della condanna, sostenendo che il giudice Fachin “abbia sempre avuto forti legami con il Pt”. Accuse subito respinte al mittente e forse anche un po’ azzardate vista la bufera abbattutasi invece contro l’ex giudice Sérgio Moro, responsabile delle due condanne di Lula e subito diventato ministro della Giustizia dopo la vittoria di Bolsonaro.

Una situazione poco limpida su cui la stessa Corte Suprema, anche a fronte delle richiesta dei legali di Lula, ha deciso di aprire un fascicolo per valutare la mancata imparzialità del giudice nei processi.

Prospettive per il 2022
Dunque, una doccia fredda per Bolsonaro che, nonostante la disastrosa gestione della pandemia in Brasile, conservava fino ad oggi il favore di un terzo dell’elettorato brasiliano e dell’esercito, nei cui ranghi è stato inquadrato in passato. La notizia della possibile candidatura del leader indiscusso della sinistra brasiliana apre il campo ad una lotta polarizzata tra lo schieramento populista e personalistico di destra di Bolsonaro e la sinistra anti-sovranista, in quello che viene già definita come una versione latina dello scontro “Sanders vs Trump”. Una corsa che lascerebbe pochi spazi a candidati terzi.

Non è da escludersi, infine, che lo scontro politico possa portare Bolsonaro verso posizioni sempre più populiste cercando di riproporre la campagna contro il Partito dei Lavoratori del 2018 e distogliendo così parte dell’attenzione dagli insuccessi nella gestione della pandemia. C’è poi la questione dell’esercito. Dal ritorno alla democrazia nel 1985, sottolinea il periodico la Jornada, non ci sono mai stati così tanti militari, attivi e in pensione, dispersi in tutto il Paese. “Se Bolsonaro non è a capo di un governo militare, sicuramente comanda un governo militarizzato”. Un fattore che andrà tenuto in considerazione.

Nella foto di copertina EPA/Fernando Bizerra Jr. un momento della conferenza stampa di Lula dopo l’annullamento dei processi.