IAI
Leader eterni

Al potere da 36 anni, Nguesso cerca la riconferma nella Repubblica del Congo

20 Mar 2021 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

Domenica 21 marzo i cittadini della Repubblica del Congo – conosciuta anche come Congo-Brazzaville per distinguerla dalla vicina, ben più grande e famosa, Repubblica Democratica del Congosi recheranno alle urne per scegliere il futuro capo dello Stato. Tra tensioni e arresti il presidente in carica, Denis Sassou Nguesso, cerca il quarto mandato. Lo sfidano, tra tutti, Mathias Dzon e Guy Brice Parfait  Kolélas che, dopo aver sostenuto  in passato l’attuale presidente, se ne sono allontanati criticandolo duramente.

Nguesso, 77 anni, è uno dei leader politici più longevi al mondo, avendo governato il Paese per 36 anni. Tra il 1979 e il 1991, guidò la Repubblica Popolare del Congo in un sistema a partito unico dove il Parti Congolais du Travail (Pct), di ispirazione marxista-leninista, era l’unico accettato. La transizione democratica, coronata dalle prime elezioni multipartitiche del 1992, sancì l’uscita di scena del leader congolese, anche se per poco. La canalizzazione delle rivalità politiche nella costruzione di milizie private determinò lo scoppio della guerra civile che si concluse, nel 1999, con la vittoria militare di Nguesso e il suo ritorno sulla scena politica.

Da allora, Nguesso non ha più abbandonato il potere aggiudicandosi la presidenza sia nel 2002 sia nel 2009 con percentuali sempre superiori al 79% dei consensi.

La pratica del “third termism
Presentarsi anche alle elezioni del 2016 pose Nguesso di fronte a un duplice problema. Il presidente, 72enne, violava il limite massimo dei 70 anni per potersi candidare e cercava una terza rielezione quando la Costituzione, approvata nel 2002, sanciva il limite dei due mandati.

Modificare la Costituzione per poter correre per la terza volta – la pratica del “third termism” – è diventata una prassi abbastanza diffusa nel contesto africano. Nonostante le proteste dell’opposizione e le manifestazioni popolari che denunciavano un “colpo di stato Costituzionale”, nel 2015, con il 93% dei voti favorevoli fu approvata una Costituzione che apriva una nuova stagione politica, azzerando il conteggio dei mandati precedenti.

Ciò permise a Nguesso di candidarsi anche alle elezioni del 2016, vincendole. Il mandato presidenziale diventava rinnovabile per due volte consecutive e veniva meno il limite massimo di età, a patto che il candidato presidente, secondo quanto enuncia l’articolo 66, mostrasse di godere di uno stato di benessere fisico e mentale, certificato da un collegio di tre medici nominati dalla Corte costituzionale.

I candidati alla presidenza
Il Paese è una Repubblica presidenziale dove il capo dello Stato viene eletto grazie a un sistema a doppio turno. Se nessun candidato al primo turno raggiunge la maggioranza assoluta dei voti si tiene un ballottaggio tra i due candidati più votati.

Nguesso, leader di una coalizione di diciassette partiti, è stato presentato dai suoi sostenitori come una scelta di continuità, stabilità e pace. Un’idea che riecheggia anche nelle parole usate dal presidente nell’annunciare la sua candidatura: “Insieme parteciperemo alla pace per continuare la marcia verso lo sviluppo”.

In realtà, proprio la mancanza di sviluppo su tutti i livelli – infrastrutturale, economico e sociale –, la diffusa corruzione nel settore pubblico, l’assenza di crescita economica, un debito pubblico fuori controllo e la povertà diffusa – il 40% della popolazione vive con meno di 1,90 dollari al giorno, nonostante il Paese sia ricchissimo di petrolio – sono i temi su cui puntano i principali candidati dell’opposizione.

Mathias Dzon, ex ministro delle finanze durante il primo governo di Nguesso, è considerato uno dei candidati più forti. È il leader dell’Union Patriotique pour le Renouveau National (Uprn), che dal 2007 si è spostata all’opposizione. Punta a raccogliere il consenso dei giovani, proponendo politiche che migliorino l’educazione e l’accesso al mondo del lavoro.

Le critiche al governo per le mancate promesse e la decisione di Guy Brice Parfait Kolélas di candidarsi alle elezioni del 2016, nelle quali arrivò secondo con il 15% dei voti, hanno sancito la rottura con Nguesso. Facendo leva sulle conseguenze sociali della pandemia da Covid-19 e del ribasso dei prezzi del petrolio, Kolélas, leader dell’Union des Démocrates Humanistes-Yuki (Udh-Yuki) cerca di attrarre i voti degli emarginati e delle persone che sono più in difficoltà.

L’opposizione verso il voto
Le tensioni elettorali non sono una novità nel Paese. Le elezioni del 2002 furono segnate dall’assenza dei principali leader di opposizione, Kolélas e Lissouba, entrambi in esilio e impossibilitati a ritornare nel Paese per svolgere la campagna elettorale a causa di condanne per tradimento pronunciate in loro assenza. Nel 2009, la decisione di boicottare le elezioni da parte dei sei candidati di opposizione fu motivata dall’accusa di brogli e irregolarità. Sette anni dopo Mokoko e Salissa, i due principali sfidanti di Nguesso, furono arrestati con l’accusa di mettere a repentaglio la sicurezza del Paese e, nel giorno del voto, i servizi informatici e telefonici furono disattivati.

Anche quest’anno, Amnesty International ha denunciato una politica di intimidazioni ai danni dell’opposizione. Con l’inizio della campagna elettorale il 5 marzo, gli incontri dei leader di opposizione sono stati limitati, giustificando la decisione con le misure di contenimento del contagio da Covid-19. Mabiala, leader dell’Union Panafricaine pour la Démocratie Sociale (Upads), l’unico partito di opposizione presente in Parlamento con un proprio raggruppamento, dopo essere stato recentemente rilasciato a seguito di accuse di corruzione, ha annunciato la sua assenza dal voto condannandone la scarsa trasparenza.

A ciò si aggiungono le difficoltà dei giornalisti nel garantire un’informazione imparziale: dal 2009 i loro arresti sono cresciuti a dismisura e il governo ormai controlla tutti i media.

A cura di Aurora Guainazzi, autrice Africa de Lo Spiegone

***Lo Spiegone è una testata giornalistica formata da studenti universitari e giovani professionisti provenienti da tutta Italia e sparsi per il mondo con l’obiettivo di spiegare con chiarezza le dinamiche che l’informazione di massa tralascia quando riporta le notizie legate alle relazioni internazionali, della politica e dell’economia.