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Una partita tutta a destra

Quarte elezioni in due anni per Israele: la scelta è su Netanyahu

22 Mar 2021 - Nello del Gatto - Nello del Gatto

GERUSALEMME. Domani, martedì 23 marzo, le quarte elezioni in due anni per Israele, ma la situazione di stallo nella politica e nel governo del Paese è ancora la stessa. Si fanno i conti ma il pallottoliere politico non ritorna dati di una maggioranza chiara e di una coalizione forte. È chiaro che a seconda di chi vincerà o appoggerà la coalizione vincente, si scriverà la nuova agenda di Israele. I sondaggi dicono che il premier uscente Benjamin Netanyahu dovrebbe farcela e quindi ci si scosterà poco da quanto fatto fino ad ora. Il processo che lo vede imputato non dovrebbe influire più di tanto.

Il nuovo governo israeliano dovrà sicuramente continuare sulla strada della normalizzazione verso gli Stati arabi con gli Accordi di Abramo, cosa più difficile se dovessero farcela i partiti di estrema destra. È indubbio che gran parte del successo internazionale di Israele con l’apertura verso i Paesi arabi sia dovuta allo steso Netanyahu e all’ottimo rapporto con gli Usa.

L’agenda del nuovo governo
Difficilmente il cambio di amministrazione a Washington, nonostante negli ultimi giorni si sia parlato di un ritorno a una soluzione a due Stati con i confini del 1967, porterà ad un cambio nella situazione mediorientale. L’apertura di Netanyahu ai Paesi arabi, alle monarchie del Golfo, non potrà fermarsi, anche perché alla finestra ci sono i sauditi. L’attuale monarca di Riad è legato ad una idea panarabica ancorata al progetto dello Stato palestinese che pare ormai lontano nel tempo; il principe saudita Mohammad bin Salman, invece, potrebbe cambiare questa visione.

Ma il nuovo governo avrà anche da gestire la grande crisi derivante dalla pandemia. Fino a quando non avanzeranno le vaccinazioni negli altri Stati, il comparto turistico israeliano, uno dei più importanti del Paese, non riuscirà a rifarsi. E questo tira anche a seguito la Palestina. Grosse differenze di programma tra i vari partiti non ci sono, se non legate a questioni religiose come il servizio militare per gli ortodossi o i mezzi pubblici in servizio di sabato. Per il resto, l’eventuale cambio al vertice non dovrebbe cambiare nulla.

Numeri in bilico
Gli ultimi sondaggi, diffusi prima della chiusura per il silenzio elettorale, dimostrano che da un lato la formazione di destra Yamina, dall’altra gli arabi di Ra’am saranno gli aghi della bilancia.

Nonostante un recupero dei giorni scorsi, il Likud del premier Netanyau non riesce ad ottenere la maggioranza contando pure i voti degli alleati. Per formare il governo, servono 61 seggi sui 120 della Knesset, il Parlamento israeliano. Secondo gli ultimi sondaggi diffusi da Channel 11, il partito di Netanyahu è salito a 31 seggi, dopo aver toccato quota 26, comunque in discesa rispetto ai 36 ottenuti nel marzo di un anno fa. A settembre del 2019, il Likud era arrivato a 32 seggi mentre nelle elezioni precedenti di aprile dello stesso anno ne aveva ottenuto 35.

Colpisce quindi il calo del partito, che paga la fuoriuscita di un pezzo grosso come Gideon Sa’ar, per molto tempo considerato il delfino di Netanyahu, e che con il suo neonato partito New Hope si attesta sui 9 seggi. Improbabile che questi possa sostenere il più longevo premier nella storia di Israele per un altro mandato. L’unica possibilità per Bibi pare ottenere l’appoggio di Naftali Bennett, l’ex ministro della Difesa che ha rotto in passato con Netanyahu e che è a capo della coalizione di destra Yamina. Channel 11 gli dà tra i 9 e i 10 seggi. Questi, uniti a quelli dei partiti religiosi Shah e United Torah in Judaism, farebbero arrivare questo gruppo a 61seggi, il minimo necessario per ottenere l’incarico.

Ma è tutto molto precario e i numeri differiscono, seppur di poco, in maniera sostanziale, perché l’acquisto o la perdita di un seggio potrebbero determinare la maggioranza. Lo stesso problema ce l’hanno anche i partiti di destra che si oppongono a Netanyahu, da quello di Sa’ar a quello dei russofoni guidati da Avigdor Liberman. Anche qui, con l’appoggio di Bennett, non si riuscirebbe ad arrivare alla maggioranza.

Possibili maggioranze
La battaglia politica si gioca tutta a destra, con Yamina che potrebbe decidere di andare da una parte all’altra, decretando la vittoria di uno o dell’altro, e gli arabi di Ra’am che si trovano in una situazione simile. Questi, infatti, hanno più volte annunciato di essere disponibile a dare il proprio sostegno ad un governo di Netanyahu, dopo che Bibi ha fatto molta campagna nelle città arabe e ha annunciato un ministero per gli arabi.

Non a caso, il premier ha inserito in lista, cosa mai accaduta prima, pur se in una posizione che gli impedisce di essere eletto (in Israele il sistema elettorale è proporzionale), al 39° posto, un arabo israeliano di origine palestinese, l’insegnante Nail Zoabi, che potrebbe guidare il nuovo dicastero.

Tra l’altro, è stato proprio Netanyahu a contribuire alla scissione della Lista Araba Unita, l’unione che si era presentata alle scorse politiche formata da quattro partiti arabi. Di questi, tre sono rimasti compatti contro Netanyahu, mentre uno, Ra’am appunto, si è detto disponibile a sostenerne un nuovo governo del Likud se questi si impegna veramente nel migliorare le condizioni di vita degli arabi israeliani.

Lapid, l’anti-Bibi
Ra’am si è resa disponibile a sostenere anche il centrista Yair Lapid, leader di Yesh Atid e vero oppositore di Netanyahu, mentre gli altri partiti arabi, a cui i sondaggi danno 8-9 seggi, non vogliono sentire assolutamente parlare di un altro governo Netanyahu. Proprio il candidato centrista potrebbe sparigliare le carte.

Lapid, ex giornalista, è stato il fondatore, insieme a Benny Gantz, della coalizione Blu e Bianco ed è diventato il capo dell’opposizione quando l’ex generale ha accettato di entrare nel governo con Netanyahu e di cadere nella trappola del premierato a turno. Con il suo Yesh Atid è dato a 19 seggi. Allo stato attuale, Gantz è fuori da qualsiasi gioco e Lapid deve contare sul supporto di tutti, in chiave anti-Netanyahu.

In un sondaggio, alla domanda su chi fosse più adatto a essere il primo ministro, il 37% degli intervistati ha risposto Netanyahu, il 21% Lapid, il 10% il capo di Yamina Bennett e il 9% di Sa’ar, il capo di New Hope. Il successo di Netanyahu deriva dal fatto che sono in molti quelli che considerano buona la sua gestione della pandemia.

Nella foto di copertina EPA/ABIR SULTAN un manifesto elettorale di Benjamin Netanyahu, il premier più longevo di Israele che punta all’ennesima riconferma