Micronesia al voto tra riscaldamento globale e grandi potenze
Le elezioni negli Stati Federati di Micronesia arrivano in un momento di grande difficoltà per la federazione delle isole dell’Oceano Pacifico. All’inizio di febbraio, gli Stati Federati hanno deciso di abbandonare il Pacific Islands Forum, un’alleanza politica regionale costituita da 18 Paesi che copre un’area molto ampia in un’importante zona strategica, contesa tra l’influenza statunitense e quella cinese. Con loro, hanno lasciato il Forum altri quattro Stati membri appartenenti al “gruppo micronesiano”: Kiribati, Isole Marshall, Nauru e Palau.
Lo strappo nel Forum
La decisione è arrivata dopo che, al momento dell’elezione del Segretario generale del Pif, la scelta è ricaduta su Henry Puna, ex Primo ministro delle Isole Cook, che è riuscito a superare per una sola preferenza il candidato sostenuto dai vertici della Micronesia, Gerald Zackios. L’esito del voto ha esacerbato tensioni già presenti tra i membri del Forum: le iniziative recentemente intraprese da Australia e Nuova Zelanda nell’area pacifica sono state ritenute, dagli Stati della Micronesia, troppo sbilanciate a favore della Melanesia e della Polinesia. Secondo il presidente di Palau, Surangel Whipps Jr., con il voto di febbraio si è consumata l’ennesima mancanza di rispetto nei confronti del gruppo: “non ci hanno lasciato scelta”, ha sostenuto in un articolo pubblicato sul Guardian.
Le elezioni in Micronesia
Dopo la spaccatura di febbraio, il 2 marzo andranno al voto gli Stati di Yap, Chuuk, Pohnpei e Kosrae. Gli Stati Federati, che comprendono un insieme di 607 isole su una superficie di 702km quadrati, sono organizzati politicamente come una Repubblica presidenziale federale. Il capo di governo, attualmente David Panuelo, è anche il capo di Stato, e viene eletto ogni quattro anni dal Congresso, un organo unicamerale i cui quattordici membri si dividono tra dieci rappresentanti eletti ogni due anni e quattro senatori eletti ogni quattro anni, rappresentanti ciascuno uno Stato. Le elezioni riguardano soltanto i dieci rappresentanti con mandato biennale.
Il sistema elettorale è il maggioritario a turno unico (first-past-the-post): per essere eletti, ai candidati che corrono nei distretti elettorali in cui è suddiviso il territorio delle isole, è sufficiente la maggioranza relativa. Al momento non esistono corpi di rappresentanza partitica – la legge non proibisce la loro costituzione – per cui le campagne elettorali si giocano sulla capacità dei singoli politici, candidatisi come indipendenti, di tessere la propria rete di relazioni interpersonali. Anche in mancanza di suddivisioni strettamente politiche, non si deve pensare a un unico territorio omogeneo da un punto di vista socioculturale: negli Stati Federati convivono diversi gruppi etno-linguistici e, nonostante la quasi totalità della popolazione si professi di religione cristiana, sono presenti molti gruppi divisi tra praticanti del cattolicesimo (più del 50%) e del protestantesimo (più del 40%).
In un anno in cui il dibattito pubblico mondiale è ancora necessariamente vincolato alla diffusione del Covid-19 e delle sue varianti, la Federazione vede stabilmente in cima alla propria agenda la questione ambientale. Come in tutte le isole – non solo – pacifiche, le preoccupazioni legate al riscaldamento globale sono estremamente condivise, visto il comune destino cui l’innalzamento dei mari condanna la popolazione locale: i Paesi della Micronesia, come argomentato dal Development Policy Center, sono senza dubbio quelli “più vulnerabili e minacciati” in proposito. Anche in questa prospettiva la spaccatura avvenuta nel Pif determina una situazione di notevole incertezza per la cooperazione regionale sul tema, in particolare sul futuro potere di ‘voice’ di questi Stati a livello internazionale. Tuttavia, non si tratta dell’unica questione di interesse nazionale
L’influenza di Stati Uniti e Cina
Gli Stati Federati di Micronesia fino al 1986 sono stati un territorio sotto l’amministrazione degli Stati Uniti. Una volta ottenuta l’indipendenza, il legame storico è rimasto: oggi gli Stati Uniti forniscono aiuti finanziari alla Federazione in cambio della possibilità, per le loro forze armate, di operare liberamente nelle loro acque. Gli attriti più importanti tra la classe politica delle isole riguarda proprio il rapporto con la superpotenza nordamericana. Alcuni ritengono ingiusta la distribuzione dei fondi statunitensi e la crescente influenza cinese nella zona chiama in causa delle responsabilità fino a poco tempo fa non interrogate dai singoli Stati.
La proposta di aiuti economici avanzata da Pechino, del resto, non può che fare gola a un ecosistema che si regge quasi esclusivamente su agricoltura e pesca. In ultima istanza, è la politica estera l’altro fronte di attualità in Micronesia. Non è un caso che siano in molti a essersi soffermati su questa chiave di lettura rispetto a quanto accaduto nel Pif: il candidato micronesiano Zackios, in qualità di diplomatico per le Isole Marshall, ha intrattenuto rapporti formali con Taiwan e, per questa ragione, sarebbe stato costretto alla resa dalla ingombrante quanto ‘oscura’ presenza cinese. Il prossimo Congresso dovrà scegliere da che parte stare su questa linea di confine: forse sarà anche un compito di Marstella E. Jack, che in caso di vittoria sarà l’unica donna a rappresentare concittadine e concittadini in questa sede.
A cura di Alberto Pedrielli, caporedattore Oceania de Lo Spiegone
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